L’UE accoglie con soddisfazione il piano anti-crisi presentato da Berlusconi al vertice europeo, ma ammonisce il governo nel mantenere le promesse fatte dal premier. Sul fronte interno invece, non condividendo con le opposizioni la lettera presentata al vertice comunitario, Berlusconi si scontra nuovamente con i sindacati inferociti del cambiamento – o eliminazione – dell’Art. 18.
A rispondere a questa annosa richiesta è il ministro Sacconi: «Licenziamenti facili è un titolo che serve solo a spaventare una società già insicura ma che non rappresenta le misure suggerite dall’Europa ed accolte dall’Italia». In parole povere il decreto che presenterà il governo nelle prossime settimane, tende a minimizzare le regole dei licenziamenti per motivi economici nei contratti di lavoro a tempo determinato. Solo che la norma va interpretata anche in periodo di crisi assoluta – e non solo con la crisi economica attuale – con la possibilità di licenziare senza le lungaggini burocratiche che attualmente esistono nei contratti nazionali.
Di per sè non sarebbe una pessima proposta, il problema nasce perché la società italiana – e di conseguenza l’industria italiana – non ha regole che aiutano le stesse imprese a crescere e innovarsi in base ai tempi. Basti pensare che l’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori è integrato nella legge 300 del 20 maggio 1970, cioè quasi 42 anni fa. Giusto o sbagliato che sia l’art. 18, si potrebbe pensare di modificare qualcosa dato che in 40 anni le cose cambiano. «Apriremo presto un tavolo di confronto con le parti sociali – continua Sacconi – che invitiamo ad approfondire il merito senza pregiudizi. Così come l’opposizione ha l’opportunità di dimostrare la propria modernità accettando il confronto su una linea europea».
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Questa norma è la stessa che il governo propose qualche mese fa, solo che stavolta è la stessa Europa a chiederla. Ha anche il merito di ricompattare i sindacati dopo le ultime vicende Pomigliano e Mirafiori.
Pur approvando la lettera esibita a Bruxelles, la tensione nell’esecutivo è alta. «Ci siamo impegnati, mica potevamo spaccare l’Europa» dice Bossi.
Ma Tremonti si è defilato. Il ministro del Tesoro, infatti, non ha messo la sua firma sulla lettera. «Volutamente», dice chi ci lavora accanto.
A Bruxelles la tensione si è notata anche tra Berlusconi e Sarkozy. In un’intervista rilasciata al quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung, le parole del ministro degli Estari Franco Frattini sulle banche parigine sono state molto dure: «L’Italia non è parte del problema europeo. La Francia ha un problema molto più grande con le sue banche che sono in possesso di troppi bond greci».
La lettera ha comunque avuto il plauso dell’UE. Josè Manuel Barroso parla di «impegni molto concreti» per raggiungere obiettivi molto precisi. Anche se d’ora in poi, aggiunge il presidente della Commissione, «ci sarà un monitoraggio costante da parte di Bruxelles sulla messa in pratica dei provvedimenti». Anche Van Rompuy, presidente del Consiglio europeo, plaude lo sforzo italiano. Chiede però che entro dicembre siano definiti i dettagli sull’innalzamento dell’età pensionabile a 67 anni. Persino il Cancelliere tedesco Angela Merkel loda il piano di riduzione del debito messo a punto da Berlusconi, così come Sarkozy che parla di «soddisfazione generale – inclusa la Bce – per gli impegni italiani perché sono quello che serve». Certo, aggiunge, «ora aspettiamo la loro attuazione».
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