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Nell’ultimo ventennio, la classe dirigente italiana ha perso in termini di sostanza, di forza e di capacità. Tenendo conto delle difficoltà vissute quotidianamente dalle famiglie e dalle aziende, la speranza che ci sia qualcuno capace di portar fuori l’Italia dal baratro in cui sembra essere caduta, rischia di trasformarsi in un’illusione.
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Nell’ultimo ventennio, la classe dirigente italiana ha perso in termini di sostanza, di forza e di capacità. Non che all’epoca il livello fosse di eccellenza, anzi qualche neo si riscontrava anche lì nell’era di Tangentopoli. Questo, però, è ciò che percepisce oggi l’opinione pubblica italiana e non è una bella sensazione. Se si tiene conto della recessione, delle difficoltà vissute quotidianamente dalle famiglie e dalle aziende, la speranza del Paese è che ci sia qualcuno capace di affrontare la situazione e portar fuori l’Italia dal baratro in cui sembra essere caduta. Ma se questo qualcuno dev’essere l’attuale classe dirigente, allora la speranza rischia di trasformarsi in un’illusione.

Questo il quadro emerso dal Walden 2011, l’Osservatorio dell’istituto di ricerche SWG che dal 1997 studia e interpreta i valori socio-politici degli italiani.

Se negli anni ’90 il Paese poteva contare, bene o male, su una classe dirigente – intesa sia in termini politici che economici – un po’ più credibile, ora la situazione è ben diversa. Il quadro negativo in cui si collocano i dirigenti di oggi trova la sua maggior espressione in termini di disonestà – anche se 20 anni fa la situazione in questo senso non era certo brillante – di arroganza e di immoralità. Viceversa, pur rimanendo in un quadro a tinte assai fosche, gli aspetti più accattivanti che dimostrano sono la non totale staticità (attributo che vede la vicinanza più marcata da 20 anni fa ad oggi) e l’incompetenza. Queste due caratteristiche possono quindi dirsi il ‘meno peggio’ della classe dirigente attuale, ma il livello rimane comunque estremamente critico a livello complessivo.
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Gli italiani, che li osservano, subiscono e vivono le conseguenze del loro agire sulla propria pelle, li sentono anche come distaccati, superficiali e limitati. E reputandoli imprevidenti, li collocano in quella fascia non capace di effettuare le giuste letture per meglio comprendere gli scenari futuri che consentirebbero di affrontare il domani con meno preoccupazioni e maggior profitto.

Ma com’era, invece, la classe dirigente 20 anni fa? Chi guidava l’Italia negli anni ’90 appariva decisamente più competente e preparato agli occhi dei cittadini. E se rispetto a creatività, cortesia, moralità e lungimiranza certo non emergevano, anzi si può dire che quasi non apparivano, si poteva notare più chiaramente una pecca rispetto al livello di onestà e di dinamismo. L’era di Tangentopoli ha aperto gli occhi agli italiani e ha dato loro nuovi strumenti di valutazione che hanno penalizzato il giudizio sulla classe politica. Oltre a questo, la sensazione era che fossero poco scattanti e poco proiettati in avanti, più inclini alla staticità che alla vitalità.

La faccia pensante del Paese perde, quindi, totalmente il confronto con i dirigenti del ventennio passato che appaiono piazzati meglio degli attuali rispetto alle caratteristiche che più di altre possono descrivere la loro capacità di operare, ma questa non eccellenza fa emergere un problema più importante: l’Italia, ormai da troppo tempo, sembra non poter contare su una classe dirigente realmente forte e capace. Non può farlo oggi e non poteva farlo vent’anni fa. Le situazioni sono cambiate, le prospettive anche, ma ciò che rimane è il segnale della necessità di avere una guida in grado di portare il Paese non solo fuori dalla crisi, ma di rilanciarlo promettendo un futuro roseo e vivibile.
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