Il confronto tra destra e sinistra italiane sulla gestione del proprio passato è emerso in modo acceso in occasione della manifestazione di CasaPound a Bologna, in cui la destra ha provocatoriamente chiesto alla sinistra di distanziarsi dalle proprie radici storiche.
Sabato 9 novembre a Bologna, CasaPound ha messo in piedi una provocazione perfettamente studiata: con la scusa di protestare contro il degrado cittadino, ha indotto una contromanifestazione della sinistra antagonista finendo per scontrarsi in piazza. Da qui, la destra di governo ha lanciato un messaggio inedito: chiedere alla sinistra di prendere le distanze dal proprio passato, un invito al cambiamento che di solito è la sinistra a rivolgere alla destra.
Il passato della sinistra
Questo episodio, che potrebbe sembrare un evento locale di propaganda pre-elettorale (domenica 17 e lunedì 18 si vota per le regionali in ER), svela un problema più ampio e profondo: il modo in cui destra e sinistra gestiscono le proprie eredità storiche. Passato è passato, certo, ma ha un peso diverso per ciascuno dei due schieramenti e continua a esercitare una certa influenza sul presente. Da una parte, ipotizzare una qualche continuità tra il principale partito della sinistra e una violenza politica organizzata è fuori luogo. La sinistra italiana, in particolare il vecchio Pci, non è mai stata una forza eversiva.
Il Pci è stato un partito d’ordine che ha contribuito alla costruzione della Repubblica e della Costituzione, accompagnando i ceti popolari verso una piena partecipazione democratica e rompendo con l’estremismo dei gruppi di sinistra radicale, con cui intratteneva rapporti difficili. Al terrorismo, poi, si è opposto in modo deciso, come dimostra il sacrificio di militanti come Guido Rossa.
Dunque, la sinistra non ha ombre da dissipare in fatto di ambiguità verso il proprio passato violento. Semmai, il vero limite è un altro: nel tentativo di diventare una forza politica “liberal”, ha perso contatto con pezzi importanti della sua tradizione politica e culturale, allontanandosi sempre di più dalle classi popolari. Questo distacco è oggi uno dei motivi principali del calo dei consensi.
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Il passato della destra
Nella destra italiana del passato, il rapporto con la violenza politica è stato esplicito e spesso giustificato apertamente. Era diffusa un’attitudine anti-sistema, alimentata da legami sfumati e non sempre dichiarati con gruppi eversivi, e molti dirigenti e militanti mantenevano una certa distanza dai valori della cultura democratica.
Oggi Fratelli d’Italia è un’altra cosa. Non ha legami con il neofascismo, né si può parlare di una continuità politica con il Msi. FdI rappresenta una nuova destra, quella del nuovo millennio: un’identità costruita su un mix tra un’idea di democrazia “post-democratica”, ormai largamente dominata dalle élite, e una pulsione nazional-populista che reagisce al vuoto e alla debolezza della politica tradizionale.
Eppure, nonostante questa evoluzione, il legame con il passato non è mai stato nettamente reciso: più che rompere con quel mondo, si è preferito renderlo meno visibile, lasciandolo in ombra, piuttosto che condannarlo apertamente. È come se quell’eredità scomoda fosse stata sotterrata senza troppo clamore, senza mai mettere vere barriere: non si sono mai costruiti veri argini per evitare zone di contiguità. Questo tacito superamento ha permesso, di fatto, l’esistenza di un’area grigia, dove non mancano rapporti personali tra figure della destra istituzionale e personaggi più vicini all’estremismo.
In questo scenario, il partito può dirsi cambiato senza avere mai completamente voltato pagina. È una destra di governo, ma l’ambiguità di alcuni legami è rimasta: una sorta di ambivalenza silenziosa che FdI ha preferito ignorare piuttosto che affrontare fino in fondo.
La destra di governo
Prendiamo qualche esempio recente. La presidente della commissione Antimafia, Chiara Colosimo, ha avuto contatti con Luigi Ciavardini, ex esponente dei Nar (Nuclei armati rivoluzionari) condannato a 30 anni per la strage alla stazione di Bologna; mentre Paolo Signorelli, ex capo ufficio stampa del ministro dell’Agricoltura Lollobrigida, era in rapporti con il noto capo ultras laziale Diabolik. Un altro caso è quello di Marcello De Angelis, ex parlamentare e direttore del Secolo d’Italia, che ha sollevato polemiche negando il coinvolgimento della destra nella strage di Bologna.
Alcuni etichetterebbero queste come leggerezze o errori marginali, ma episodi del genere riflettono un problema di fondo: una difficoltà nell’affrontare il passato, e forse anche nel collocarsi consapevolmente nel presente. La destra, nel suo complesso, sembra aver messo una distanza con la propria storia più per necessità di adattamento ai tempi che per vera convinzione. In questo senso, il distacco dalla tradizione democratica resta parziale: c’è un’accettazione pratica, più di facciata che di sostanza, che lascia spazio a incertezze e scivoloni.
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Il rapporto con la Democrazia
Per stabilire una rottura autentica servirebbe un rapporto con la democrazia che sia profondo, non solo strumentale. Ma è complicato per chi ha costruito il proprio successo proprio nella fase di disaffezione verso la politica tradizionale, in questa “post-democrazia” dominata dal 3% percepita come distante. Questo contesto spinge a considerare il passato come qualcosa da archiviare senza troppi esami di coscienza, rispondendo spesso con una certa indifferenza a chi chiede un confronto chiaro.
Eppure, questa non è una questione superflua o politica: è una questione che riguarda la qualità della democrazia nel nostro paese, una qualità che dipende anche dalla chiarezza con cui si guarda al passato.
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