Viktor Orbán, qualche giorno fa, diceva che non è necessario che le democrazie siano liberali, “possono anche essere conservatrici, sovraniste, senza alcun danno alla democrazia stessa“. È vero, non è necessario che le democrazie siano liberali. Questo però pone una domanda molto seria nel contesto politico populista che ci circonda: qual è la differenza tra una maggioranza eletta e un regime anch’esso eletto, se le torsioni maggioritarie diventano totalitarie nella sfera dell’opinione pubblica?
Ai tempi del fascismo, la ricetta del regime per smorzare le velleità dell’opposizione era l’olio di ricino: chiudere i portoni del governo per annullare fisicamente la minoranza parlamentare. Oggi non serve più, basta umiliare l’opposizione considerando lo Stato come una cosa personale: il “nostro” governo, la “nostra” maggioranza. Il più è fatto, e se non basta ci pensano i social.
Un esempio pratico è il Viminale, l’ufficio del Ministero degli Interni che Salvini usa ad uso e consumo della “sua gente”. L’olio di ricino, invece, diventa digitale: le offese quotidiane, i dileggi, le aggressioni verbali verso quelle persone che manifestano un certo dissenso.
Quando gli studenti sono scesi in piazza contro le politiche governative sulla scuola e hanno inscenato il “No Salvini Day” contro xenofobia e razzismo, il ministro degli Interni ha postato sul suo profilo Facebook la foto di una ragazza con un cartello contro il “Capitano”. La provocazione è andata esattamente come voleva Salvini: migliaia di engagement hanno scatenato i fans con frasi augurali di un certo spessore: “farai la fine di Desirée”, “ti meriti di essere stuprata”, solo per fare qualche esempio. La gogna è molto democratica, non trovate?
La vittoria dei populisti alla Salvini sta nel fatto che son riusciti a distorcere la democrazia: lo Stato, i Ministeri, il Parlamento, i diritti, sono “del popolo”, che è buono per antonomasia. Ovviamente parliamo del ‘loro’ popolo, perché gli altri sono i cattivi, anzi i buonisti.
Una Democrazia che funziona è quella che non tarpa le ali al dissenso, che riesce a confermare o sconfiggere le maggioranze grazie al voto, ma che non crede di essere “padrona” di se stessa solo perché ha il mandato degli elettori. Al contrario, se la maggioranza occupa lo spazio pubblico come se ne fosse il proprietario scatenando l’intolleranza contro il dissenso, quella non è più democrazia ma egemonia della maggioranza.
Ciò la rende piccola di fronte alla grandezza dello Stato e si autolegittima con l’olio di ricino digitale, col linguaggio intransigente e intollerante dei social e “del popolo”. È la democrazia populista tanto cara a Salvini, quella che gli permette di scatenare la folla contro chi lo contesta.
L’olio di ricino digitale non fa meno danni dell’originale fascista, anzi, induce a pensare che si possa andare oltre il potere dell’opinione, di andare oltre i limiti della Costituzione e, perché no, oltre i limiti imposti dall’Europa. Quell’Europa che se non fosse immersa nell’organizzazione del proprio funerale, potrebbe bloccare il dilagare del fascismo digitale dicendo che no, non ci sono democrazie illiberali perché è un errore in termini. E gli europei ne hanno abbastanza dell’olio di ricino.
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