Non sarebbe possibile eleggere il nuovo presidente americano senza lo spiegone con le regole del gioco.

Quando si vota

Si vota martedì 5 novembre 2024, ma il sistema elettorale offre diverse opzioni. In 47 Stati è già possibile farlo grazie al voto anticipato, che può essere effettuato sia di persona che per corrispondenza fino a sette settimane prima dell’Election day. Nel 2020 questa modalità ha raggiunto il record di 66,4 milioni di schede (contro i 28,8 milioni del 2016), pari al 42% del totale. Quest’anno hanno già votato circa 60 milioni di americani. L’anticipo serve a ridurre le code del 5 novembre e a permettere la partecipazione di chi ha difficoltà a recarsi alle urne in un giorno lavorativo. Solo Alabama, Mississippi e New Hampshire non consentono il voto anticipato, se non per specifiche motivazioni.

Chi sono i Grandi Elettori

Negli Stati Uniti, l’elezione del presidente è un processo indiretto: i cittadini, col voto popolare, esprimono la loro preferenza per i cosiddetti “Grandi Elettori.” Il 5 novembre, gli americani troveranno i nomi di Kamala Harris e Donald Trump sulla scheda, ma in realtà votano persone di fiducia selezionate dal Partito Democratico e dal Partito Repubblicano in un numero proporzionale alla popolazione di ogni singolo stato. Queste persone si chiamano Grandi Elettori e, una volta eletti il 5 novembre, si riuniranno il 17 dicembre per votare ufficialmente il presidente.

Non è obbligatorio per i Grandi Elettori votare in linea con il voto popolare, e solo alcuni stati li vincolano a farlo per legge. Sebbene in teoria possano votare per il candidato opposto, questo accade di rado e non ha mai alterato il risultato delle elezioni presidenziali.

La Soglia dei 270 Grandi Elettori

Per conquistare la Casa Bianca, un candidato deve raggiungere almeno 270 Grandi Elettori su un totale di 538. La strategia elettorale, quindi, si basa sulla combinazione vincente degli Stati necessari per arrivare a questa cifra. Ogni candidato costruisce la propria campagna in modo da puntare sugli stati che possono assicurargli i 270 elettori necessari.

Winner Takes All

In quasi tutti gli stati, a eccezione di Maine e Nebraska, vige la regola del “Winner takes all”: il candidato che ottiene anche un solo voto in più rispetto al rivale si aggiudica tutti i Grandi Elettori dello Stato. Non c’è quindi un rapporto proporzionale tra voti e Grandi Elettori, il che fa sì che la vittoria di uno Stato sia fondamentale.

Swing States

Poiché il presidente è eletto in base al numero di Grandi Elettori e non al voto popolare, la vera battaglia si concentra sui cosiddetti Swing States, gli stati in bilico dove il margine tra i due partiti è sottile e i risultati imprevedibili. Anche se potenzialmente potrebbero votare circa 250 milioni di persone, solo una piccola percentuale sarà decisiva per il risultato finale.

Ci sono poi stati che vengono vinti per un margine sottilissimo, spesso meno del 5%. Sono quelli che restano “in bilico” fino alla fine come la Florida nel 2000, quando George Bush la conquistò contro Al Gore con un vantaggio di soli 537 voti su quasi 6 milioni: un margine così ristretto che fu un piccolo spostamento di elettori in una contea a fare la differenza. Per questo, i partiti concentrano gran parte della campagna proprio su questi stati.

Anche quest’anno gli stati chiave sono sette: Arizona (AZ, 11 Grandi Elettori), Georgia (GA, 16 Grandi Elettori), Michigan (MI, 15 Grandi Elettori), Nevada (NV, 6 Grandi Elettori), North Carolina (NC, 16 Grandi Elettori), Pennsylvania (PA, 19 Grandi Elettori), Wisconsin (WI, 10 Grandi Elettori). Nel 2020, la maggior parte di questi stati fu vinta da Biden (6 a 1) con uno scarto inferiore al 3%, mentre nel 2016 la maggioranza li assegnò a Trump (6 a 1).

Alcuni Stati sono storicamente schierati con uno dei due partiti. Negli ultimi vent’anni, per esempio, stati come California e New York sono stati roccaforti democratiche, con margini di vittoria che vanno dai 10 ai 30 punti percentuali. Allo stesso modo, Utah e Kentucky sono stati dove i Repubblicani godono di un ampio vantaggio, talvolta anche di 50 punti.

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Stati che dal 2000 hanno votato sempre per lo stesso partito nelle elezioni presidenziali

STATI200020042008201220162020
Alabama (AL)RRRRRR
Alaska (AK)RRRRRR
Arkansas (AR)RRRRRR
California (CA)DDDDDD
Connecticut (CT)DDDDDD
District of Columbia (DC)DDDDDD
Delaware (DE)DDDDDD
Hawaii (HI)DDDDDD
Idaho (ID)RRRRRR
Illinois (IL)DDDDDD
Kansas (KS)RRRRRR
Kentucky (KY)RRRRRR
Louisiana (LA)RRRRRR
Maryland (MD)DDDDDD
Massachusetts (MA)DDDDDD
Minnesota (MN)DDDDDD
Mississippi (MS)RRRRRR
Missouri (MO)RRRRRR
Montana (MT)RRRRRR
New Jersey (NJ)DDDDDD
New York (NY)DDDDDD
North Dakota (ND)RRRRRR
Oklahoma (OK)RRRRRR
Oregon (OR)DDDDDD
Rhode Island (RI)DDDDDD
South Carolina (SC)RRRRRR
South Dakota (SD)RRRRRR
Tennessee (TN)RRRRRR
Texas (TX)RRRRRR
Utah (UT)RRRRRR
Vermont (VT)DDDDDD
Washington (WA)DDDDDD
West Virginia (WV)RRRRRR
Wyoming (WY)RRRRRR
Negli ultimi 20 anni, 19 stati hanno votato repubblicano, 15 democratico

Non si vota solo per la presidenza

Oltre alla scelta del prossimo presidente, il voto del 5 novembre includerà anche il rinnovo del Congresso che è l’organo legislativo più importante negli Stati Uniti e comprende la Camera dei rappresentanti, che conta 435 membri, e il Senato, con i suoi 100 senatori: il 5 novembre gli elettori rinnoveranno completamente la Camera e sceglieranno 34 seggi del Senato. Oltre al Congresso, si voteranno una sequela di referendum e conferme di leggi statali di vario genere. La più importante è sicuramente l’interruzione volontaria di gravidanza che sarà sulle schede in oltre 10 Stati, tra cui alcuni in bilico: Montana, Arizona, Missouri, Nebraska, Colorado, Florida, Maryland, Nevada, New York e South Dakota voteranno emendamenti costituzionali per ampliare l’accesso all’aborto e ad altre forme di assistenza sanitaria riproduttiva.

Chi sono i due candidati

L’ex presidente Donald Trump, 78 anni, è di nuovo in corsa per la Casa Bianca con il Partito Repubblicano. Dopo il mandato 2016-2020, questa è la sua terza candidatura. Trump affronta attualmente varie indagini a livello federale e statale, con quattro accuse e una condanna già emessa; lui nega tutto e mantiene una solida base di sostenitori. A luglio ha scelto come vicepresidente il senatore JD Vance dell’Ohio.

La candidata del Partito Democratico è invece Kamala Harris, 60 anni, subentrata a Joe Biden dopo il suo ritiro. Prima donna nera a concorrere per la presidenza, Harris ha alle spalle una carriera come procuratore generale e senatrice della California, ed è l’attuale vicepresidente. Anche lei ha già gareggiato nelle primarie del 2020, inizialmente contro Biden, per poi ritirarsi e sostenerlo. Se eletta, diventerebbe la prima donna a guidare il paese. Ha scelto come vice il governatore del Minnesota, Tim Walz.

Quando sapremo chi ha vinto?

Le presidenziali americane sono sempre state un’incognita, e quest’anno lo sono ancora di più. Se qualcuno si aspetta di conoscere il vincitore subito dopo il 5 novembre, rischia di rimanere deluso. A differenza dell’Italia, dove il Ministero dell’Interno raccoglie e annuncia i risultati, negli Stati Uniti il processo è molto più lungo e complesso: qui le elezioni, compreso il conteggio dei voti, sono organizzate Stato per Stato e, a volte, addirittura contea per contea.

Ogni seggio elettorale conta i voti e li invia alla commissione elettorale dello Stato, che a sua volta li sigilla e li trasmette al Congresso. Ma non finisce qui: a dicembre, il Senato e la Camera si riuniscono per aprire, ricontare e certificare ogni singolo risultato. Poi, a gennaio, tocca di nuovo alle due Camere, questa volta in presenza del Vicepresidente, per la certificazione finale.

Perciò, se la sera delle elezioni ci sarà un annuncio del vincitore, non verrà dal governo o da qualche organo ufficiale, ma dai “decision desk” dei media più affidabili come Associated Press, CNN, Fox News, CBS, NBC e ABC, che si basano su proiezioni e dati aggiornatissimi ponderati da personale esperto in sondaggi e proiezioni elettorali. Rispondo subito a una domanda che sicuramente vi siete posti: sì, Fox News è considerata una delle più affidabili perché ha una sua decision desk che è disgiunta dalla gestione pro-Trump dell’emittente.

L’errore di Jim e Maggie sull’assegnazione del vincitore del Michigan su “The Newsroom” è il migliore esempio per spiegare l’importanza dei decision desk in elezioni importanti come le presidenziali (qui in italiano, dal min. 33.37 in poi)

Quindi, in breve

Le elezioni presidenziali negli Stati Uniti funzionano attraverso un sistema particolare basato sul Collegio Elettorale, che è così da sempre. In pratica, gli elettori non votano direttamente per il presidente, ma scelgono i cosiddetti “grandi elettori“, cioè i delegati di ogni stato, che sono proporzionati alla popolazione e corrispondono al numero di deputati eletti alla Camera dei Rappresentanti a Washington. 

La maggior parte degli stati adotta un approccio “winner-takes-all”, dove il candidato che prende anche un voto in più dell’avversario si porta a casa tutti i grandi elettori – ad eccezione di Maine e Nebraska che utilizzano il metodo proporzionale. Per diventare presidente ne servono 270 su un totale di 538 grandi elettori.

Il vero scontro si gioca negli stati in bilico, conosciuti come “swing states“. Quest’anno sono sette: Arizona, North Carolina, Georgia, Nevada, Michigan, Wisconsin e Pennsylvania. Gli ultimi tre – Michigan, Wisconsin e Pennsylvania – sono i più determinanti poiché facevano parte del “Blue Wall“, un gruppo di stati tradizionalmente democratici che Trump riuscì a strappare nel 2016.

Le elezioni si tengono ogni quattro anni, il martedì dopo il primo lunedì di novembre. Dopo il voto popolare, i grandi elettori si riuniscono a dicembre per esprimere ufficialmente il loro voto, mentre il Congresso certifica i risultati a gennaio. In caso di pareggio o di stallo, è la Camera dei Rappresentanti a scegliere il presidente, mentre il Senato si occupa di eleggere il vicepresidente. 

Il giuramento del presidente degli Stati Uniti avviene il 20 gennaio, generalmente sulla scalinata del Campidoglio a Washington. Dopo il giuramento ha ufficialmente inizio il mandato presidenziale.

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