Nell’autunno del 1989, la perestroika di Gorbaciov soffiava su tutta Europa e la Germania dell’Est iniziava a spezzare le catene del regime. A Berlino, l’oppressione si trasformò in un’urgenza collettiva di libertà: un movimento pacifico e potente si diffuse nelle piazze, nelle chiese, nei teatri e nei gruppi di opposizione che nascevano uno dopo l’altro. Ma la libertà tanto cercata ha lasciato cicatrici ben visibili.

Quel novembre segnò un momento unico e irripetibile per la Deutsche Demokratische Republik (DDR), una gioia profonda che lo scrittore Thomas Brussig descrisse come “il mio giorno più felice”. La caduta del Muro di Berlino fu l’apice di mesi di proteste pacifiche e di una mobilitazione popolare che, partendo da ogni angolo della Germania Est, chiedeva libertà e cambiamento. In estate, già qualcosa stava maturando: i primi presidi, i piccoli gruppi di opposizione, e un fermento che diventava sempre più incontenibile sotto il vento di riforme che soffiava dall’Unione Sovietica di Gorbaciov.

La paura di Tienanmen

In autunno, la richiesta di libertà esplose in piazza. Si manifestava ovunque: nelle chiese, nei teatri, nelle strade di Berlino e nelle città dell’Est. La gente, unita e decisa, marciava chiedendo fine al controllo e alle privazioni. Tuttavia, nell’entusiasmo di quelle settimane, si percepiva anche un’ombra di paura. Le immagini del massacro di Tienanmen, avvenuto pochi mesi prima in Cina, erano ben impresse nella memoria di molti. I tedeschi dell’Est ricordavano quel giovane che aveva sfidato i carri armati a Pechino: una speranza spezzata nel sangue, una ferita aperta che evocava timori su ciò che il regime sarebbe stato disposto a fare per sopravvivere.

La DDR tentò di calmare le acque: il regime annunciò una “svolta” e sostituì Erich Honecker con Egon Krenz. Un cambio di facciata, però, visto che Krenz stesso era considerato un ammiratore della linea dura cinese. La Stasi continuava a esercitare il suo controllo asfissiante; anche in famiglia si viveva sotto l’occhio del regime.

Il cenno da Mosca non arrivò

Il momento chiave arrivò il 7 ottobre, durante il 40° anniversario della Repubblica Democratica Tedesca. A Berlino, Gorbaciov, accolto con grida di “Gorby, Gorby!”, mandò a Honecker un messaggio netto: “Chi arriva troppo tardi sarà punito della storia”. Parole che forse Honecker non comprese, ma che il popolo colse al volo, capendo che Mosca non sarebbe intervenuta per salvare il regime.

Con Honecker allontanato, i manifestanti sentivano ormai vicina la fine della Repubblica Democratica Tedesca. Marciavano pacificamente, candele in mano, gridando “Noi siamo il popolo” nelle strade di Lipsia, Berlino, Rostock. C’era speranza, ma anche una costante attenzione: lo spettro dei carri armati sovietici era ancora presente, un ricordo pesante della repressione del 1953.

Alla fine, però, quel “cenno” da Mosca che molti temevano non arrivò.

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L’ultima spallata al Muro

Siamo a novembre 1989, un mese dopo che la DDR ha festeggiato il suo quarantesimo anniversario e dopo il celebre ammonimento di Gorbaciov. Ad Alexanderplatz, per la prima volta, i più noti intellettuali e dissidenti della Germania Est prendono coraggio e si presentano su un palco, un gesto impensabile fino a poche settimane prima. Cinque giorni prima della caduta del Muro, la piazza si riempie di un milione di persone. I cartelli mostrano il leader Egon Krenz dipinto come un lupo cattivo, immagine eloquente di una nazione stanca, arrabbiata, che ormai ha perso ogni fiducia nel regime. Voci celebri del teatro berlinese come Christa Wolf, Heiner Müller e Ulrich Mühe esprimono il malcontento collettivo, raccontando il disagio e le delusioni di una generazione.

Quella del 4 novembre è la prima manifestazione libera nella storia della Ddr. Mühe si rivolge alla folla leggendo un articolo della Costituzione che garantisce, sulla carta, la libertà d’espressione, un diritto ignorato per decenni. Anni dopo, però, scoprirà che anche sua moglie, Jenny Gröllmann, era una collaboratrice informale della Stasi, un tradimento che lo porterà al divorzio. Più tardi, reciterà nel film Le vite degli altri, che si ispira in parte a questa sua esperienza personale, e alla domanda su come si fosse preparato per il ruolo risponderà: “Ho fatto appello alla memoria.”

Quel giorno, la polizia era presente ai margini della piazza, come sempre pronta a un intervento improvviso per ordine di Mosca o dei vertici locali. Ma non accadde nulla. Si racconta che, a un certo punto, una donna si avvicinò a due Vopos, la polizia del popolo, con le mani dietro la schiena osservando il corteo. Con un sorriso, depose un fiore ai loro piedi augurando loro “Buona giornata”. I poliziotti rimasero immobili, quasi spiazzati; e il fiore restò lì, intoccabile.

Una libertà dal retrogusto amaro

Tutto era ormai al collasso, e pochi giorni dopo quella manifestazione, una famosa conferenza stampa (mal gestita da Günther Schabowski, capo ufficio stampa del governo) innesca una serie di eventi che spingono migliaia di tedeschi verso i punti di passaggio. È la notte della caduta del Muro, un momento che resterà indelebile nella memoria.

Per molti berlinesi dell’Est fu il giorno più felice della loro vita. Ma, guardandolo oggi, 35 anni dopo, per alcuni quella libertà ha lasciato un retrogusto amaro. Nel 1989 nasceva anche il Neues Forum, un movimento che sognava una terza via tra socialismo e capitalismo, la prima formazione politica fuori dal Fronte Nazionale della Ddr riconosciuta dal Partito di Unità Socialista.

Oggi il Forum si oppone senza successo all’ascesa dell’Afd e del movimento populista di Sahra Wagenknecht, ma non c’è nulla da fare: in Sassonia, Brandeburgo e Turingia l’estrema destra guadagna terreno ed è ormai sotto sorveglianza dai servizi segreti. In questi territori, la base dell’Afd è ben più ampia rispetto all’Ovest, segno che quella libertà conquistata non ha portato le stesse speranze a tutti.

Il neonazismo mina il governo Scholz

Alle recenti elezioni in Turingia, ha avuto la meglio Bjoern Hoecke, figura di spicco dell’AfD e noto per le sue posizioni radicali e antidemocratiche. Qualche anno fa, aveva definito il Memoriale della Shoah di Berlino “una vergogna” – una dichiarazione che mostra un distacco netto dal passato e dal suo peso nella memoria collettiva tedesca. Nell’Est della Germania, c’è una tensione palpabile: cresce la rabbia verso le istituzioni democratiche, il malcontento sembra quasi esplosivo, e l’ostilità verso i politici è sempre più evidente. Non è solo odio per odio; in parte è una reazione alla sensazione che il governo centrale non riesca a rispondere ai problemi della regione.

La situazione non è migliorata sotto Scholz, che appare spesso debole e indeciso, soprattutto su temi chiave come la crisi economica e le tensioni sociali: a marzo si torna alle urne. La sua coalizione sembra poco stabile, e l’AfD cresce non solo all’Est, ma anche a livello nazionale. Con la recessione e la crisi industriale che mordono, molti tedeschi orientali vedono nella situazione attuale e nella sfiducia verso il governo una sorta di nuovo ’89, una fase in cui la svolta appare possibile.

Un Est che non si arrende

A 35 anni dalla caduta del Muro, la riunificazione è ancora una ferita aperta. L’integrazione tra Est e Ovest non è solo una questione economica: ci sono fratture identitarie e storiche mai veramente rimarginate. Negli anni ’90, il cancelliere Kohl aveva promesso un futuro di “paesaggi in fiore” all’Est, assicurando crescita e benessere. Economicamente, la promessa è stata in parte mantenuta, ma a che prezzo? L’industria dell’ex DDR è stata per lo più smantellata o ceduta a investitori dell’Ovest, mentre il marco occidentale ha reso i prodotti dell’Est obsoleti e non competitivi. Quello che molti hanno vissuto non è stata solo una trasformazione, ma un vero e proprio trauma economico e culturale.

Dirk Oschmann, nel suo libro L’Est: un’invenzione della Germania Ovest, racconta gli anni ’90 come un periodo di “colonizzazione” in cui l’Ovest ha cancellato l’identità dell’Est, imponendo un nuovo ordine. La deindustrializzazione ha toccato il 70%, portando con sé milioni di disoccupati e famiglie che hanno perso tutto. Ancora oggi, i tedeschi orientali sono scarsamente rappresentati ai vertici: occupano solo l’1,7% delle posizioni di leadership, e questo li rende spesso esclusi dal processo decisionale, generando frustrazione e sfiducia.

Sentirsi estranei a casa propria

Molti tedeschi dell’Est si sentono in una condizione di ingiustizia. Uno studio della Fondazione Bertelsmann rivela che l’80% di loro si percepisce trattato con disparità rispetto all’Ovest. Non mancano coloro che ritengono che alcuni aspetti positivi della DDR siano stati spazzati via senza considerazione. Non sorprende che ci sia diffidenza verso le istituzioni, né che il “siate grati” proveniente dall’Ovest suoni vuoto e paternalista.

Secondo il sociologo Steffen Mau, autore di Ungleich vereint, l’identità orientale si è sviluppata anche in reazione a questo senso di “colonizzazione” e distanza. Mau invita a non giudicare la relazione dell’Est con la democrazia solo perché molti votano AfD. In Ovest, la democrazia è arrivata con il boom economico; in Est, è stata accompagnata da disoccupazione, deindustrializzazione e un duro declassamento sociale. Questo rende più complessa e sfuggente la relazione con i valori democratici e favorisce la ricerca di alternative populiste.