Quando Cuadrado ha stordito la traversa a metà del tempo di recupero, per un attimo ho pensato che queste serate sono una specie di “Ai confini con la morte”: il cuore perde un paio di battiti, le mani diventano ghiacciaie, i suoni arrivano ovattati alle orecchie, la retina manda immagini confuse al cervello. La morte subito dopo. Che brutto andarsene così, senza sapere se la palla di Cuadrado è entrata davvero.
Alle coronarie, già notevolmente stressate nei 90 minuti (più recupero) regolamentari, i supplementari sono sembrati l’ennesima roulette russa del destino infame. Il ritorno col Porto è sembrata a tratti una seduta psicologica: le ansie, le incertezze, la speranza, la batosta e la delusione. Infine la redenzione. Allo psicologo dal cuore di cuoio frega molto poco di come ci sentiamo: lui continua a fare il suo comodo. Come fa il suo comodo il Porto, che dopo 19 minuti si porta in vantaggio con il più classico dei falli da rigore orchestrato e diretto dal pirla di turno. Uno a zero e grasso che cola sulla barba di Pirlo.
E invece, nel secondo tempo la Juve si mostra umorale come Cate Blanchet in Blue Jasmine: in 20 minuti rovescia la partita con una doppietta di un divinizzato Chiesa in serata perfetta. L’inerzia è tutta in mano ai bianconeri che sfiorano il gol più di una volta, che difatti lo realizzano col solito Morata in fuorigioco dei soliti pochi centimetri. Il Porto è ferito ma non morto, contrariamente a chi scrive queste righe.
Fino alla traversa di Cuadrado.
C’è chi assiste all’apparizione di San Michele Arcangelo come Fantozzi, chi si dedica alle santissime madonne, chi resta in silenzio. I supplementari sono i 30 minuti che restituiscono l’esatta dimensione della Juventus: squadra fatta di grandi slanci ma anche baratri profondi; momenti di entusiasmo in cui la partita sembra in pugno alternati da manciate di minuti dove sembra che il gol del Porto possa arrivare da un momento all’altro. Poi arriva la sciagurata punizione da 25 metri che mette ko Szczesny tradito da Cristiano in barriera che salta in maniera troppo disordinata per essere vero. È il gol qualificazione e a poco serve il 3-2 finale di Rabiot, autore di una buona partita.
Più di un’ora in vantaggio numerico e raramente ce ne siamo accorti: questa Juve non è stata in grado di sfruttare il momento positivo in cui portarsi a casa la qualificazione.
È ora di andare oltre.
Andare oltre solitamente lo si dice quando si subisce uno smacco, un colpo basso. Andare oltre, nel calcio, vuol dire fare il salto di qualità, migliorare la rosa e responsabilizzare la società. Nel caso della Juventus, dopo l’uscita dalla Champions agli ottavi per il secondo anno consecutivo, vuol dire una sola cosa: saltare il fosso e liberare Cristiano Ronaldo.
Sia chiaro: la colpa per la sconfitta di ieri non è solo di CR7 ma va condivisa con tutti, da Bentancur a Szczesny passando per Demiral e Ramsey. E Pirlo, soprattutto Pirlo. Ma è sul più forte della storia della Champions League che vanno i miei fermimmagine perché da un campione come lui ci si aspetta in più, molto di più. Due partite opache col Porto nel torneo che lo ha reso infinito; due prestazioni impalpabili che lo hanno messo fuori dagli schemi di gioco, impacciato, senza quell’intensità che lo ha reso celebre e ha contraddistinto la sua carriera. Certo, a 37 anni non si può pretendere che corra a tutto campo solo perché Ibrahimovic ancora domina a 39 anni. Cristiano fa ancora la differenza in campionato, ma in Europa i ritmi e la coralità di gioco ti impongono di adeguarti a certi ritmi e di incidere in certe dinamiche. Cristiano non li ha più.
La Juventus due stagioni fa decise di cambiare la propria identità di gioco per provare a vincere anche in Europa con un gioco più propositivo e orientato all’attacco. Si è deciso di rischiare il dominio italiano con una scommessa tutt’altro che certa: ringraziare la concretezza di Allegri puntando sulla spettacolarità del gioco di Sarri. Il tecnico ex Napoli vinse lo scudetto ma non suscitò grandi entusiasmi, specialmente dentro lo spogliatoio, uscendo agli ottavi di Champions contro l’abbordabile Lione. A fine stagione venne esonerato e al suo posto, complice la pandemia e una situazione economica tragica per tutte le squadre di calcio, fu chiamato Andrea Pirlo, alla sua prima esperienza da allenatore ma entusiasta di portare avanti il progetto lasciato da Sarri.
Ora, è vero che l’esperienza non la compri e non è un talento da cui attingere. È altrettanto vero, però, che se la Juve chiama, tu rispondi. Quindi non riesco dar seguito a chi se la prende esclusivamente con Pirlo. E se, come scrissi l’anno scorso, è stato un errore licenziare Sarri, se si pensasse di salutare Pirlo l’errore sarebbe doppio e più grave dell’anno scorso. A questo punto però bisognerebbe essere chiari: alla Juve non si cambia, la fase difensiva torna ad essere il nostro punto di forza e la concretezza l’unico sostantivo che ci interessa. Affidarsi ai giovani per riaprire un ciclo vincente in Italia e provarci, ancora e ancora, anche in Europa.
Andare oltre Cristiano Ronaldo.
Andare oltre Ronaldo significa anche un risparmio di 31 milioni netti di ingaggio a stagione (circa 53 lordi); significa far respirare le finanze e reinvestire quei soldi in giocatori che ridiano equilibrio alla squadra, sia dentro al campo che dentro lo spogliatoio. Andare oltre Ronaldo significa responsabilizzare chi resta, chi gioca e chi sta in panchina.
Oggi Chiellini ha annunciato il (quasi) ritiro. Se il capitano ha deciso di appendere gli scarpini al chiodo, forse è il caso di pensare, stavolta seriamente, ai rientri di Romero, Pellegrini e Rovella; puntare consapevolmente sugli Under 23 Fagioli, Dragusin, Di Pardo e il nuovo arrivo Aké. Rimettere in sesto Dybala e affiancare un ariete a Morata. Rinforzare il centrocampo puntando su Chiesa e Arthur augurandosi che Kulusevski riesca finalmente a fare il grande salto nel calcio che conta.
La voglia di plasmare i nuovi Pirlo, Pogba, Marchisio e Vidal è tanta. Si può fare. Fino alla fine.
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