Il fondo Andreessen Horowitz ha sposato l’accelerazionismo tecnologico e vede nello sviluppo senza limiti delle intelligenze artificiali la chiave per il futuro. Appoggiando Donald Trump, hanno potenziato il legame tra il mondo tech e il Partito Repubblicano. È una visione pragmatica e geopolitica: vincere la corsa alle IA contro la Cina è cruciale per mantenere il primato statunitense. Ma questa alleanza solleva interrogativi su deregolamentazione, etica e caos politico.
Marc Andreessen e Ben Horowitz, fondatori del fondo di investimento Andreessen Horowitz, rappresentano un caso emblematico di come il mondo della tecnologia stia spostando i propri interessi e alleanze politiche. Creato nel 2009, il fondo si ispira esplicitamente all’effective accelerationism (e/acc), una corrente di pensiero che vede nella tecnologia – e soprattutto nello sviluppo senza vincoli delle intelligenze artificiali – la chiave per risolvere tutti i problemi dell’umanità. Non si tratta solo di credere nella tecnologia, ma di considerarla una forza quasi inevitabile, capace di spingere l’umanità verso un progresso inarrestabile. E a confermare l’impegno in questa visione, il fondo ha annunciato un investimento di 2,25 miliardi di dollari nelle IA.
Nonostante un passato di dichiarato sostegno ai candidati democratici – da Bill Clinton a Barack Obama a Hillary Clinton – Andreessen e Horowitz hanno spiazzato tutti nel luglio di quest’anno, dichiarando il loro appoggio a Donald Trump. Questo endorsement, meno rumoroso di quello di Elon Musk, segna però un passaggio cruciale: la crescente convergenza tra una parte della Silicon Valley e il Partito Repubblicano, che Trump ha riplasmato a sua immagine e somiglianza.
Il nemico cinese
Nel loro podcast, i due affaristi hanno spiegato la loro visione: il successo globale degli Stati Uniti, sostenuto dall’economia, dalla potenza militare e dalla tecnologia, è sotto minaccia. E la Cina, con il suo rapido sviluppo tecnologico, rappresenta un avversario diretto. “L’IA fa paura, certo,” ha ammesso Horowitz, “ma se non vinciamo noi, vincerà la Cina”. Questa narrazione riflette un timore geopolitico che Trump ha abilmente sfruttato, ma anche un’aperta critica all’amministrazione Biden, accusata di frenare l’innovazione con una regolamentazione eccessiva.
Proprio in quest’ottica, il documento pubblicato nell’estate 2024 da un think tank di ispirazione repubblicana, che propone una serie di “progetti Manhattan” per lo sviluppo delle IA, assume un valore simbolico. Intitolato Make America First in AI, il documento auspica la cancellazione delle politiche di Biden, giudicate ostacoli allo sviluppo, e il ritorno a una “libertà di innovazione” legata alla competitività economica e al “benessere umano”. Eppure, le politiche di Biden sulle IA, tutt’altro che “radicali di sinistra”, sono state improntate a una regolamentazione minima per evitare abusi e garantire standard di sicurezza, un approccio pragmatico che è stato bollato come “limitante” dagli ambienti vicini a Trump.
Che dice Trump?
Ma qual è davvero la posizione di Trump sulle IA? Qui emerge un problema cruciale: Trump non ha mai mostrato un interesse approfondito per la questione, e la sua prima amministrazione è stata un esempio di caos e imprevedibilità. Tuttavia, se le aziende come Palantir o Anduril – già in collaborazione con il Pentagono – otterranno via libera, il settore potrebbe accelerare senza quasi alcun controllo. È uno scenario che, se da un lato entusiasma chi spinge per una totale deregolamentazione, dall’altro alimenta dubbi su come l’innovazione tecnologica possa essere orientata verso obiettivi etici e sostenibili.
In passato, la Silicon Valley era vista come un baluardo di innovazione progressista, almeno per quanto riguarda i diritti civili. Ma quella “coscienza progressista” non si è mai spinta fino a includere la giustizia sociale o una critica strutturale del capitalismo tecnologico. Nel 2016, la maggior parte del mondo tech era contraria a Trump, con rare eccezioni come Peter Thiel (fondatore di Paypal). Oggi, invece, molti imprenditori guardano a Trump come un alleato strategico per aggirare regolamenti e accelerare lo sviluppo tecnologico senza ostacoli.
Eppure, la questione IA resta complessa. Né Trump né Kamala Harris, sua avversaria nelle elezioni del 2024, hanno dato spazio significativo al tema durante la campagna elettorale. Eppure, il settore è centrale per gli equilibri futuri, sia per gli interessi economici miliardari sia per le implicazioni geopolitiche. Kevin Roose, sul New York Times, osserva che Trump difficilmente si occuperà personalmente di IA, probabilmente delegando la questione a figure come JD Vance, noto per il suo interesse in materia. L’approccio prevedibile? Incentivi per le aziende tech e smantellamento di qualsiasi regolazione.
Che dice Musk?
Una variabile interessante è Elon Musk. Sebbene sia a capo di una compagnia di IA, xAI, Musk ha espresso preoccupazioni sui rischi esistenziali legati all’intelligenza artificiale e ha persino sostenuto regolamentazioni in California, contraddicendo la narrativa dominante nella Silicon Valley. La sua posizione, che combina pragmatismo e imprevedibilità, potrebbe influenzare il dibattito, ma è difficile dire in quale direzione.
In definitiva, il caos e l’imprevedibilità sembrano destinati a dominare anche il dibattito sulle IA. Un settore che, pur essendo guidato da logiche economiche e tecnologiche, rischia di diventare un campo di battaglia politico dove ogni regola potrebbe essere sacrificata in nome della competizione globale.
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