Dando un’occhiata alla scheda di Silvio Berlusconi sul sito del Senato, compare, senza un certo strano effetto, la dicitura “fino al 27 novembre 2013”. Fa uno strano effetto anche leggere “Mancata convalida dell’elezione il 27 novembre 2013“: l’uomo che ha guidato il paese per otto anni (2001-2006, 2008-2011) ed è stato all’opposizione per altri sei con Prodi premier (1996-2001, 2006-2008) e due con le strane larghe intese di Monti e Letta (2011-2013), deve lasciare il posto all’amico Ulisse Di Giacomo perché una legge, approvata anche dal suo partito, lo ha condannato alla decadenza politica dentro e fuori il Palazzo.
L’impatto simbolico è fortissimo, sembra davvero che sia finita un’era. Però ai fini politici non conta nulla se non la possibilità di non vedere più Silvio Berlusconi quale candidato premier del centrodestra. Conta poco perché – fortunatamente – esiste la politica extra parlamentare.
Tra l’altro, se proprio vogliamo fare le pulci al Cavaliere, quest’obbligo è perfettamente nelle sue corde: durante il secondo governo Prodi ha preso la parola a Montecitorio solo tre volte in due anni; durante la premiership di Monti non è mai intervenuto e con Letta premier ha parlato al Senato una sola volta, quando ha dato una inutile fiducia al governo dopo il tradimento di Alfano. Negli ultimi otto anni Berlusconi ha fatto politica prevalentemente fuori dal Parlamento, pertanto la decadenza non ha fatto altro che confermare un dato di fatto. Altra cosa, invece, è non potersi candidare come leader del centrodestra alle prossime elezioni. Ed è questo che fa più male al Cavaliere.
L’articolo 6 della legge Severino lo dice chiaro: “Non possono ricoprire incarichi di governo, come individuati dall’articolo 1, comma 2, della legge 20 luglio 2004, n. 215, coloro che si trovano nelle condizioni di incandidabilità previste dall’articolo 1 per le cariche di deputato e senatore“. Farebbe male a chiunque, ma per Berlusconi è un colpo al cuore perché – ora più che mai – l’esecutivo detiene praticamente anche il potere legislativo, in quanto il Parlamento è sempre più soggetto al ruolo di ‘scrutatore non votante‘ buono per pigiare il bottone della fiducia alle leggi del governo.
Essere leader in Parlamento oggi è così ininfluente che la centralità dei principali partiti sta fuori dal Palazzo: Grillo per il M5S, Vendola per Sel, Maroni per la Lega. E se l’otto dicembre Matteo Renzi vincerà le primarie, anche il Partito Democratico avrà il suo leader extra parlamentare. Per cui è davvero inutile soffermarci su una leadership presente in Parlamento quando ormai, con tutto ciò che ruota attorno alla politica italiana – dai talk show ai giornali, fino alla scelta di votare le leggi del governo -, non c’è nessun motivo valido per cui il capo del partito debba necessariamente essere presente tra i banchi di Palazzo Madama o di Montecitorio. Chi ha festeggiato la fuoriuscita di Berlusconi dalla politica, molto probabilmente ha fatto male i conti oppure capisce poco di politica. Che è ancora peggio.
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