Se ci soffermiamo un momento sull’inquietudine che spesso accompagna l’inizio del nuovo anno e sull’ossessione per i buoni propositi, potremmo spostare l’attenzione dal perseguire una perfezione irraggiungibile al riscoprire il valore dei legami e il loro significato profondo, accogliendo l’importanza dei piccoli cambiamenti e delle riflessioni sincere.
A volte mi chiedo se sia l’età che avanza o semplicemente un pensiero che ritorna, ma la consapevolezza di un altro anno trascorso mi lascia sempre un po’ inquieto. Non credo di essere l’unico a sentirsi così. Qualche giorno fa, mentre scambiavo due parole con un caro amico, tra gli auguri e qualche battuta mi ha tirato fuori Troisi con il suo inconfondibile: “Ricordati che devi morire”. Ho riso come sempre, ma questa volta ci ho riflettuto più del solito. Il tempo, in fondo, sta scadendo per tutti noi.
Forse è anche per questo che adoro A Long December dei Counting Crows. Adam Duritz sembra esausto quando canta: “A long December and there’s reason to believe / Maybe this year will be better than the last”. Non c’è alcuna certezza in quelle parole, solo una flebile speranza che il prossimo giro di calendario porti qualcosa di diverso. Eppure, eccoci qui, immersi nel solito copione di gennaio: nuove iscrizioni in palestra, app di produttività scaricate in massa, e una pioggia di buoni propositi sui social. La corsa all’auto-ottimizzazione è diventata così naturale che difficilmente ci fermiamo a chiederci perché viviamo questa continua tensione verso una “vita migliore”.
C’è qualcosa di quasi disperato in questa ossessione collettiva per il miglioramento. L’idea che, accumulando dati e perfezionando abitudini, possiamo finalmente sbloccare il segreto di una vita piena. Ci trasformiamo in agenti razionali, convinti che disciplina e pianificazione possano condurre alla felicità, come spiega Charles Taylor parlando del “sé tamponati”. Monitoriamo ogni cosa: il sonno, i passi, il tempo libero, persino i momenti di riflessione. E ogni aspetto della nostra vita diventa un’altra voce da ottimizzare, un altro carico da portare. Ma alla fine, mentre corriamo, ci chiediamo sempre più spesso dove stiamo andando e perché.
Non è sempre stato così. Fino a pochi decenni fa, erano le tradizioni a offrirci parametri morali e riferimenti per orientare la nostra esistenza. Oggi, privati di quei punti fermi, ci troviamo davanti a possibilità che sembrano infinite, ma che finiscono per paralizzarci. Essere tutto ciò che vogliamo è un’opportunità, certo, ma anche un peso. Quella che Taylor definisce “incertezza radicale” ci spinge a inseguire obiettivi come perdere peso o guadagnare di più, obiettivi che spesso svaniscono sotto la pressione del quotidiano. Non sorprende, allora, che i buoni propositi crollino già a febbraio.
Forse, invece di continuare a ottimizzare ogni aspetto di noi stessi, dovremmo concentrarci su come rafforzare i legami con chi ci circonda. Anziché aggiungere nuove abitudini “produttive”, potremmo riscoprire insegnamenti già presenti nella storia. E invece di ripeterci che quest’anno sarà migliore, potremmo imparare a trovare un senso nei nostri passi avanti e nei momenti di caduta. Spesso, le vere trasformazioni non arrivano dall’autocontrollo, ma da quegli sconvolgimenti emotivi che, come dice Martha Nussbaum, ci spingono a ridefinire ciò che conta davvero.
Anche il pensiero religioso offre spunti, persino a chi non crede. Le 70 risoluzioni di Jonathan Edwards, per esempio, non parlano di obiettivi misurabili o di auto-miglioramento moderno, ma di come coltivare relazioni più profonde: con noi stessi, con gli altri e con il divino, qualunque forma assuma. Anche un non credente come me può trovare ispirazione in prospettive come queste, che ci portano a riflettere su chi vogliamo essere anziché su quanto possiamo fare o ottenere.
Forse, allora, il nuovo anno non dovrebbe essere un’altra occasione per inseguire la perfezione. Potrebbe diventare un momento per rimettere in discussione come definiamo il progresso e la felicità. E se quest’anno non fosse migliore del precedente? Forse basterebbe migliorare qualcosa di piccolo, un passo alla volta. Ed è già abbastanza. Buon anno!
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