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La Camera dei Deputati con 363 voti favorevoli, 57 contrari e 14 astenuti boccia l’emendamento Fava, la norma che prevedeva l’obbligo per i provider di rimuovere qualunque contenuto su semplice segnalazione di qualsiasi soggetto interessato.

La Camera dice addio all’ultimo bavaglio al web in ordine di tempo. Qualche settimana fa raccontavamo delle forti pressioni negli Stati Uniti per recedere la SOPAStop Online Piracy Act – la legge contro la pirateria che penalizza fortemente la libertà in rete, e della versione leghista chiamato “Emendamento Fava” dal nome del deputato presentatario Giovanni Fava, in cui si faceva obbligo i provider di servizi internet di rimuovere qualsiasi contenuto ritenuto illecito anche se a farne richiesta era il semplice soggetto interessato. Nello specifico, la norma obbligava inoltre i fornitori di servizi ad adottare dei filtri per impedire l’accesso alle informazioni e ai contenuti illegali presenti nei propri server, onde evitare e “ad agevolare la messa in commercio di prodotti o di servizi” tramite parole chiave che portano al download di prodotti non originali, quindi, per il leghista Fava, illegali.

La Camera, con l’approvazione di sei emendamenti soppressivi presentati da tutte le forze politiche, ha bocciato la proposta con una maggioranza schiacciante: 363 i no, 14 gli astenuti contro i 57 sì del Carroccio. L’emendamento, inoltre, era in netto contrasto con le direttive europee che prevedono la neutralità dei provider. L’intero articolo 18 del testo è stato cancellato.

Oggi si parla di pericolo scampato, ma l’attenzione rimane comunque alta perché il testardo Fava ha fatto sapere che non ha intenzione di fermarsi: «da qui a fine legislatura mi riprometto di trovare una soluzione».

La soddisfazione naturalmente è generale, sia dagli ambienti politici che sul web. Su Twitter l’hashtag #nofava è ancora molto gettonato. Ma cassata una minaccia, adesso è fondamentale aprire un tavolo di discussione proattivo e critico, perché è sempre più evidente che il potenziale della rete non è ancora stato compreso appieno da tutti, in primo luogo dai nostri politici: la prossima minaccia si chiama Acta e riguarda le norme internazionali contro la contraffazione.