Le primarie sono la più bella competizione per la scelta del candidato che la politica possa avere. A volte, però, si ritorcono contro al partito che le organizza. Il Partito Democratico è l’emblema assoluto che questa teoria è esatta. Sempre.
Doveva essere un testa a testa epocale: due donne, entrambe del Pd, a contendersi la candidatura del centro-sinistra genovese alla poltrona più ambita di Palazzo Tursi. E’ stata invece una disfatta alla pari di Cagliari, Milano e Napoli: ha vinto l’outsider, il professore di Storia dell’Economia Marco Doria.
Cinquantacinque anni, cresciuto nella Fgci e poi nel Pci, candidato indipendente sostenuto da Sel e da Don Gallo, il prete della Genova disperata che non si arrende, Doria ha sbaragliato tutti gli avversari – Angela Burlando all’1.7% e Andrea Sassano allo 0,9% – ma soprattutto ha distrutto letteralmente le due contendenti regine di queste primarie liguri: Marta Vincenzi e Roberta Pinotti, entrambe del Partito Democratico. Doria ha dato un distacco a doppia cifra alle due primedonne, fermando il display al 41,8% contro il 28,8 della Vincenzi e il 26,8 della Pinotti. Il Pd ha perso le “sue” primarie, ancora una volta.
Se Marta Vincenzi pagava lo scotto di una pessima gestione dell’alluvione come sindaco di Genova, per Roberta Pinotti invece era stata una felice salita vorticosa che doveva portarla al successo dopo settimane di impegno on e offline. Assessore a Genova per due mandati dal ’93 al ’99, segretario provinciale dei Ds fino al 2001, deputato nazionale nel 2003 e 2006, Senatrice nel 2008, la Pinotti aveva tutte le carte in regola per prendere il testimone dalla Vincenzi con la sensazione che davvero potesse doppiare il risultato clamoroso di Cagliari dove Massimo Zedda si è prima aggiudicato le primarie e poi la poltrona di primo cittadino. Non è stato così, non è andata affatto così. E’ stata l’ennesima disfatta per le donne, ma soprattutto per il Pd.
Genova ha visto notevolmente calare i votanti rispetto alle precedenti edizioni – 25mila contro 35mila – ma il dato preoccupante, ribadiamolo, è la netta sconfitta del primo partito italiano. Un terremoto per il partito e non solo.
Tutto deve cambiare affinchè tutto resti uguale. Lo diceva il Principe di Salina nel Gattopardo scritto da Tomasi di Lampedusa 60 anni fa. Di un’attualità allarmante. Il segretario cittadino del Partito Democratico, Victor Rasetto, pensa già a domani: «Da questo momento Marco Doria è il candidato di tutto il centrosinistra e del Pd e quindi a lui i complimenti di cuore. Adesso dobbiamo far vincere le elezioni alla coalizione di centrosinistra». Non si parla di dimissioni, siamo in Italia del resto, il paese in cui chi perde rimane e chi vince pure: «È evidente che i cittadini hanno mandato un segnale chiaro di cambiamento, ma o si capisce che le primarie hanno regole e conseguenze, e quindi si accetta il fatto che possano esserci anche sorprese, o se si continuano a pensarle come una partita già decisa allora sì che è un terremoto». E aggiunge che è pronto ad assumersi le sue responsabilità: ne parlerà direttamente a Pier Luigi Bersani, ma ci tiene a dire che a Genova «ci sono state autocandidature», due, e quindi alla fine sono stati i cittadini a dire che forse qualcosa va cambiato. La colpa è sempre degli altri. Ricordiamocelo per il futuro.
Poi in giornata c’è stato l’autogol di Marta Vincenzi su Twitter
A proposito, chissa’ dove sarebbe stato Don Gallo al tempo di IPAZIA?
— Marta Vincenzi (@Marta_Vincenzi) Febbraio 13, 2012
Qualcuno però dice che è un falso account: chi mai potrebbe paragonarsi alla martire della libertà di pensiero uccisa da una folla di cristiani nel 415, alla quale si deve oggi la festa della donna? In serata, comunque, è successo l’impensabile: il segretario provinciale Victor Rasetto e quello regionale Lorenzo Basso si sono dimessi. Ogni tanto qualcosa deve pur cambiare per rimanere tutto uguale.
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