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Il mondo è come il Titanic: una fortezza inaffondabile colata a picco per aver urtato un semplice iceberg. L’egemonia della certezza, cioè il mondo, è la crescita e la crisi economica con la quale tutti paesi, nessuno escluso, dovranno fare i conti da qui all’anno prossimo.

Non esiste più l’egemonia della certezza. Quella della stabilità economica degli Stati Uniti, della crescita della Cina, della moneta unica europea o del Made in Italy. Esiste solo l’egemonia del protezionismo, del populismo e della xenofobia dilagante in tutto il globo. Negli Usa chi vincerà le primarie repubblicane sarà comunque uno scialbo avversario di Obama – Romney il mormone, Perry il texano o l’esperienza di Gingrich – e non cambierà di una virgola la realtà economica yankee. In Cina l’atteso ricambio al vertice porterà alla presidenza Xi Jinping al posto di Hu Jintao, e Li Keqiang al posto del premier Wen Jiabao, ma sarà comunque pura illusione: tutto conferma la certezza di un cambiamento impossibile da attuare. In Francia il 6 maggio Sarkozy sfiderà Hollande in un duello animato solo dai guai erotico-giudiziari di Strauss-Kahn. Mentre nel Regno Unito i conservatori di Cameron si stanno adeguando al leghismo duro e puro con il blocco delle frontiere agli immigrati. Ci potranno essere uomini nuovi al comando, ma i problemi rimarranno gli stessi di sempre.

Insomma, tutto cambia ma è un cambiamento effimero e retrogrado.

In Europa le cose non vanno molto meglio, anzi. La strategia della Merkel di creare lo scontro su tutto, è l’ago della bilancia sul futuro del Vecchio Continente. Il “Nein” tedesco a tutto ciò che concerne patto di fiscalità, eurobond e aiuti economici agli stati in crisi, rende quasi superfluo ogni dibattito sul futuro. Ed è quanto mai inutile dare un nome diverso alla sostanza: «titoli di stabilità» per Barroso, o «redemption bond» per gli economisti tedeschi. La sostanza è unica per tutti: i paesi indebitati, Italia compresa, dovranno necessariamente cedere parte della loro sovranità per farsi “commissariare” da Berlino e Parigi in cambio di un effimero futuro di liquidità. L’egemonia della certezza diventa l’egemonia del debito, la semantica dell’eufemismo.

La scelta precisa rimane comunque quella di varare riforme strutturali che alleggeriscano i cittadini dal peso del populismo esasperato degli ultimi anni. Non sarà facile nemmeno per quei paesi che oggi sguazzano nella credibilità.

La credibilità la si deve guadagnare quotidianamente. Non basta più il carisma politico per far diventare prospero uno stato: ne abbiamo avuto la prova con l’opacità di Obama di fronte al protezionismo xenofobo del Tea Party, o con il sexual healing di Berlusconi in Italia e in Europa. Non basta nemmeno un’economia forte come quella tedesca e francese: la petulanza continua della negazione ai problemi non è più un punto a favore, ma un goal subìto.

Le promesse in campagna elettorale si scontrano con la realtà del governare: tagliare poco per soddisfare tutti i ceti sociali; tasse inique ma modeste per non far arrabbiare il Tea Party, la Lega Nord, o i Veri Finlandesi; chiudere le frontiere agli immigrati, con le coste sature di corpi inermi di pover’uomini alla deriva lasciati a macerare, diventa il nuovo fronte comune di Gran Bretagna e Italia nei prossimi mesi.

Scrive l’Economist: «Viviamo una paralisi politica e una strisciante austerità. L’America non può risolvere le due crisi europee, debito sovrano e banche, ma pagherà un prezzo se l’Europa non guarisce da sola. Le esportazioni Usa soffriranno, le banche taglieranno i finanziamenti e si smarrirà, come già in Europa, la fiducia». Se l’America con il 9% di disoccupazione affossa, l’Europa non è da meno: disoccupazione media UE al 10 per cento, con punte del 20-25 in Grecia e Spagna e un tasso di disoccupazione giovanile da brividi. Lo scenario non è dei migliori, ed è per questo motivo che in Italia si è svegliato il cane che dorme.

I partiti – coadiuvati dall’indispensabile Giorgio Napolitano – hanno “creato” il governo tecnico, espressione figurata di una alternativa inesistente a cui hanno dato nome e cognome: Mario Monti. Il problema semmai sarà che questo Parlamento voterà qualunque provvedimento che l’attuale presidente del Consiglio proporrà perché non ha alternative. Così, detto semplicemente, è l’egemonia della scarsità politica.

L’ansia tornerà a farla da padrone, i partiti non sapranno che pesci pigliare ma si fingeranno attivi per il “bene del Paese”. Tornerà l’ansia del debito (a proposito: lo spread è nuovamente sopra i 500 bps) e della liquidità, ma cresceremo esponenzialmente alle rinunce. Ritorneremo a fare sacrifici in una grande stagione di riforme in cui lo sviluppo e l’innovazione volgeranno al massimo storico, miglioreranno le Università e le imprese diverranno nuovamente attive commercialmente e produttivamente. Ci sara l’egemonia della crescita.

Ma il consenso e la responsabilità durerà poco – appena 15 mesi – poi torneremo a fare i conti col grigiore delle elezioni e con i governi politici, consapevoli che la lezione tecnica non è servita a nulla: l’egemonia della certezza. Sempre se saremo ancora un paese con delle certezze.