I dati delle tre elezioni regionali confermano il trend nazionale: il centrosinistra vince in Lazio e Molise, il centrodestra tiene ancora una volta la Lombardia. Sembra facile ma in realtà è molto più complicato di quel che appare: nel Lazio Zingaretti del Pd batte con largo margine Storace de La Destra con 13 punti di vantaggio (41 a 28); in Molise il piddino Frattura fa fuori il governatore uscente Iorio con un distacco di ben 17 punti (44 a 27), mentre in Lombardia il leghista Maroni batte il candidato del centrosinistra Ambrosoli di circa 5 punti (43 a 38).
In serata Storace ha chiamato Zingaretti per ammettere la sconfitta e congratularsi col vincitore; Ambrosoli è andato in conferenza stampa nel tardo pomeriggio senza cedere un millimetro a Maroni che, invece, ha annullato quattro incontri con la stampa per poi rimandare tutto a domattina a risultato ottenuto. In Molise nessuno ha ancora parlato anche se Iorio avrebbe telefonato a Frattura per le congratulazioni di rito. Questo è tutto ciò che sappiamo sulle tre regioni in cui si è votato questo weekend.
Il fatto importante è la conferenza stampa di Bersani nel pomeriggio. Il segretario del Pd è stato lapidario: «chi non riesce a garantire governabilità non può dire di aver vinto le elezioni: non abbiamo vinto anche se siamo arrivati primi». Ha spiegato che il suo partito e lui come leader si prenderanno le proprie responsabilità, soprattutto di «essere portatori di una proposta di cambiamento» anche se per la verità non si è speso tantissimo nello spiegare quali saranno i cambiamenti, ma tant’è. Bersani ha poi detto che il Pd non «predisporrà diplomazie con questo o con quello», non farà «discorsi a tavolino sulle alleanze», piuttosto proporrà al Parlamento «alcuni punti fondamentali di cambiamento, un programma essenziale: riforma delle istituzioni; riforma della politica; nuova legge sui partiti; costi della politica; moralità pubblica e privata; difesa dei ceti più esposti alla crisi; impegno per una nuova politica europea per il lavoro».
Qualche gallo giornalista gli ha chiesto se per caso ha in mente, o ci ha già pensato, di dimettersi da segretario nel caso il Presidente della Repubblica gli affidasse di formare il governo: «il 2013 è la scadenza naturale del mio mandato, si farà il congresso, la ruota gira. Ma io non sono uno che abbandona la nave». Se non lo avete capito significa no, non si dimette. Giacché su Twitter è immediatamente – e spontaneamente, diremo – spuntato il meme “#nonabbandonolanave“. Insomma, le solite cose.
I risultati definitivi al Senato, compresi i voti dall’estero, danno 123 seggi al centrosinistra, 117 al centrodestra, 54 M5S e 19 a Monti. L’asticella della maggioranza è fissata a 158 seggi, per cui il centrosinistra è maggioranza relativa e deve guadagnarsi colpo su colpo il Senato. Bersani ha aperto a Grillo, ma Grillo ha chiuso anche se l’ipotesi di presidenza di una delle due Camere resta ancora in piedi (non la presidenza della Repubblica a Dario Fo che ha risposto picche).
L’ultima roba importante, e concludo, oggi pomeriggio Antonio Di Pietro si è dimesso “irrevocabilmente” da presidente dell’Italia dei Valori, che aggiunto ai vari Ingroia, Fini, Giannino, Crosetto, Micciché, Lombardo, Rao e Franco Marini del Pd, non rivedremo in Parlamento per i prossimi cinque anni. Cinque anni? Beh, meglio essere ottimisti con i tempi che corrono.
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