Roberto Della Seta, ex senatore PD nella passata legislatura e presidente di Legambiente fino al 2007, nel suo blog sull’Huffington Post sintetizza perfettamente l’attuale dirigenza del Partito Democratico dopo l’elezione di Guglielmo Epifani a segretario, carica che – in teoria – servirà ai Dem per essere traghettati verso il congresso di ottobre in cui si eleggerà il nuovo segretario del partito.

Se la leadership di un partito deve rifletterne profilo e consistenza, Epifani è il leader perfetto per questo Pd. Ha 60 anni, cioè più o meno l’età media – secondo un recente sondaggio Ipsos – di oltre metà dell’attuale elettorato democratico (in Italia non c’è un altro partito con una percentuale così alta di elettori sopra i 55 anni).
Non è certamente un radicale, anzi nella sua esperienza politica ha sempre agito da “uomo di mezzo”: nel Psi un po’ più a sinistra di Craxi, come segretario Cgil un po’ più a destra del predecessore Cofferati.
È figlio della tradizione socialista. Va detto per onestà intellettuale: figlio legittimo e non improvvisato, diversamente da quasi tutta la nomenclatura ex-Ds che socialista è divenuta soltanto a babbo morto (“babbo” era il Pci).
Nessuno sa se Epifani sarà solo un “traghettatore” (come molti vorrebbero sentirgli dire e come lui, immaginiamo, non dirà mai) o se una volta eletto segretario gli verrà voglia di insistere. Certo la sua storia, la sua immagine, il modo in cui è stato scelto sembrano quanto di più lontano dall’idea originaria del Pd e invece fotografano con notevole nitidezza il paradosso che rischia di inghiottire il Partito democratico: politicamente un “neonato”, di gran lunga il più giovane tra tutti i partiti italiani – più giovane persino del movimento di Grillo -, ma un neonato che dopo appena sei anni di vita sembra sfibrato e quasi immobile come un ultracentenario.
Perché questa deriva? Forse il vizio sta nell’origine, nell’illusione che una scommessa ambiziosa e difficile come quella di dare vita a un partito riformista di massa con la testa, le gambe, il cuore nei problemi e nelle sfide del XXI secolo, potesse essere giocata e vinta da gruppi dirigenti che non solo anagraficamente, ma culturalmente, la testa, le gambe e il cuore ce l’hanno altrove, ce l’hanno in esperienze e in pensieri irrimediabilmente datati.

Continua a leggere sull’HuffPost