Curiosamente vi è una stretta relazione tra governo tecnico e stato di salute delle ricette di politica economica.
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Ammesso che un governo tecnico esista davvero, la sua materializzazione poggia su due presupposti: a) l’incapacità delle forze politiche di rappresentare una guida per il paese; b) una chiara individuazione delle ricette da applicare in uno stato di emergenza, soprattutto in tema di politica economica. Ricorrono queste due condizioni nel caso del governo Monti?
Lo stato di salute delle forze politiche si commenta da solo: il centrodestra è imploso e sta conoscendo un processo di balcanizzazione dagli esiti difficili da prevedere, il centrosinistra non è stato in grado di esprimere un progetto alternativo che fosse capace di coinvolgere i fuoriusciti dal governo. Sotto la pressione della crisi dell’euro, il governo tecnico è apparso come l’unica soluzione.
Quanto al secondo tassello, il governo tecnico dovrebbe nascere su un’agenda di pochi punti condivisi che i partiti appoggiano incondizionatamente in quanto sono “La ricetta” da seguire. E’ questo il caso? No, il governo ha un canovaccio rappresentato dalla Lettera della BCE, su cui c’è un accordo molto generico da parte dei partiti, ma da agosto ad oggi le cose sono cambiate e la ricetta della BCE non appare più sufficiente. Questo rappresenta un’opportunità per la politica che è chiamata a partecipare a scelte di natura tutt’altro che tecnica. Un’opportunità che deve essere colta con senso di responsabilità senza centellinare il supporto al governo per bassi interessi di cucina.
Non è il caso di discettare se occorre aderire o meno alla Lettera della BCE quando si invoca il suo aiuto per calmare i mercati. Il punto è che la manovra messa a punto in estate mira principalmente a raggiungere il pareggio di bilancio, questo porterà ad una spirale recessiva (già certificata) che può rendere inutili gli sforzi fatti sul fronte della finanza pubblica. Le misure previste per la crescita concordate in modo molto generico con la BCE (liberalizzazioni, mercato del lavoro, privatizzazioni) potranno avere un effetto limitato, e soprattutto non immediato, sulla crescita.
L’inadeguatezza di questa ricetta è apparsa evidente a settembre quando l’Unione Europea ci sollecitava a prendere misure per la crescita e ci si è accorti che le manovre d’estate – e le promesse del governo – non erano proprio la medicina giusta. Tenendo fermi i saldi dell’operazione – sarebbe forse necessario un allentamento ma non ce lo possiamo permettere – si è giunti a parlare di patrimoniale e di politiche di sostegno al lavoro e ai redditi medio bassi per rinforzare i consumi interni. La possibilità di reperire 10-15 miliardi di euro tramite una patrimoniale sugli immobili e una lotta all’evasione stringente è concreta e con questa si potrebbe rendere meno recessivo l’effetto della manovra.
Il fatto stesso che se ne parli segna una novità importante dopo anni in cui il centrodestra ha fatto proprio lo slogan “meno tasse per tutti” e il centrosinistra era timoroso di aprire il capitolo tasse, è un’occasione per rimettere il dibattito sulla giusta carreggiata: visto l’ampliarsi della diseguaglianza nel paese, il tema redistributivo è tornato al centro del dibattito. Un’occasione soprattutto per il centrosinistra per trovare un equilibrio tra una strada indigesta (liberalizzazioni, riordino del welfare e del mercato del lavoro) e le istanze più proprie della sua posizione.
I fatti recenti rimettono dunque la questione della distribuzione della ricchezza al centro del dibattito politico mandando in soffitta la tesi, assai in voga per tanto tempo, secondo cui occorrerebbe ridurre la tassazione per favorire la crescita e che la strada della “crescita della torta” (dell’intera economia) rappresenti l’unica possibilità per innalzare il benessere dei meno abbienti (il cosiddetto percolamento della ricchezza). Gli ultimi eventi ci dicono che si può e si deve anche agire su un diverso “taglio della torta” proprio per favorire la crescita. Una lezione anche per il centrosinistra che nell’ultimo governo aveva eliminato l’ICI sulla prima casa senza un’adeguata riflessione.
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