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Il 26 febbraio il Pd ha vinto le elezioni con i numeri ma le ha perse nella pratica. Dopo due mesi alla ricerca di una coalizione con i 5 stelle tutt’altro che stupidi, Pier Luigi Bersani ha pensato di mandare tutto in vacca eleggendo da solo il nuovo Presidente della Repubblica che avrebbe dovuto prendere il posto di Giorgio Napolitano. Il buon Bersy ha prima pensato a Franco Marini – ex segretario della Cisl e cattolico della prima ora – pensando, o addirittura credendo, che il nome dell’ottantenne ex presidente del Senato fosse il nome più spendibile per il centrosinistra. All’assemblea dei parlamentari Piggì ha ricevuto 222 favorevoli e 90 contrari. I numeri, oltre che la vocazione maggioritaria del Pd, dicono chiaramente che Marini era il candidato dei Democratici. Il nodo, infatti, sta tutto nei numeri. Ai 90 contrari vanno aggiunti i 150 parlamentari che hanno preferito uscire dalla stanza piuttosto che votare: il gesto di quei 150 lo leggo come dissenso, quindi contrari. I numeri, a questo punto, mi dicono che i non favorevoli – metaforicamente parlando – sono la maggioranza, non la minoranza, e questo il segretario non l’ha minimamente capito. Al voto in aula Marini sappiamo la fine che ha fatto.
Alla seconda votazione il Pd ha deciso di votare bianca per schiarirsi le idee e rilanciare il nome di Romano Prodi sin dalla terza votazione, andata invece alla quarta con la possibilità di elezione a maggioranza semplice. Giusto! All’assemblea di quella mattina, i parlamentari della coalizione “Italia Bene Comune”  hanno votato all’unanimità per Prodi presidente; alla votazione in aula 101 franchi tiratori – presumibilmente del Pd – hanno votato altro facendo cadere, anzi facendo schiantare l’elezione di colui, a mio modesto parere, che poteva essere il miglior PdR in questo momento particolare della storia repubblicana. Bersani ha parlato di 101 traditori e poi si è dimesso, con lui tutta la segreteria escluso Enrico Letta. I giornali di sinistra (L’Unità in testa) ha parlato di atto di responsabilità del segretario in quanto la colpa è dei famosi 101 traditori che hanno affossato l’unica possibilità di un governo targato Bersani. Inutile dire che la mia lettura è completamente diversa.

Se con Marini l’errore ci poteva stare (prima votazione, umore dei parlamentari ancora da capire, nome messo a caso solo per dar sazio ad alcune frange interne ecc.), con Prodi la storia doveva necessariamente prendere una piega diversa. L’errore di Bersani, per come la vedo io, è stato quello di parlare solo con i suoi anziché trovare – o almeno cercare – i numeri al di fuori del centrosinistra: alleati certi, probabili o possibili. Parlare con il M5S era d’obbligo checché ne dicano loro con Rodotà; trovare consenso sul nome di Prodi con Monti entrava nella logica di un leader; andare a discutere con Berlusconi e cercare di capire i motivi del dissenso verso Prodi doveva essere uno dei punti forti di Bersani (l’unico motivo di B. è di fatto l’essere stato battuto due volte dal professore, ma B. è un politico di razza che capisce perfettamente quando è l’ora di tirare i remi in barca). Nessuno di queste scelte è stata fatta, si è deciso di affidarsi ai soli parlamentari della coalizione credendo che il plebiscito in assemblea bastava da solo a portare Prodi al Quirinale nella migliore delle ipotesi, perdere per una manciata di voti nella peggiore. E invece 101 parlamentari hanno tirato il pacco a Bersani facendo cadere non soltanto una delle migliori soluzioni possibili, ma addirittura facendo perdere la faccia e la credibilità a Bersani e al Pd. Pur infinitamente dispiaciuto per lui, credo che Bersani se la sia cercata: se Prodi non veniva eletto per una manciata di voti, al suo posto avrei assecondato il candidato dei grillini – è pur sempre un PdR di sinistra, no? – anche perché, per come hanno detto più e più volte, se il Pd appoggiava la candidatura di Rodotà, per Bersani si sarebbe “aperto un oceano per il governo”. La scelta più logica era quella di vedere il bluff dei 5Stelle che avrebbe comunque portato con sé una vittoria da qualsiasi lato la si guardi: se aprivano al governo avremmo avuto un esecutivo a guida Bersani con l’appoggio, seppur esterno, dei grillini; se invece si tiravano indietro avremmo avuto secoli di sputtanamento assoluto sulla credibilità e sull’affidabilità del Movimento 5 Stelle. Insomma, una vittoria a prescindere.

Un politico di esperienza come lo è Bersani non può fare queste figure. Il segretario ha dato prova di una pessima capacità di leadership: dopo le elezioni prendendo pesci in faccia dai grillini per ben cinque volte quando non si meritavano tutto questa scena; dopo, all’elezione del Capo dello Stato, non ha saputo minimamente capire l’umore dei suoi parlamentari (e sì che in assemblea con Marini avevano dato prova di che pasta erano fatti) pensando – o masochisticamente credendosi certo – che gli ordini di scuderia valgano ancora qualcosa. Da settimane si rincorrono i nomi dei 101 che hanno fatto il salto dello squalo, ma non sono loro importanti, ma i loro capibastone: i dalemiani, i mariniani, i bersaniani di lungo corso, i lettiani. Trovare i traditori non porta a nulla (tranne che si vuole espellerli come fa Grillo), trovare le correnti apre un portone che inevitabilmente porterà alla resa dei conti, cioè alla conta come sempre. Qualcuno ha detto che i responsabili sono stati i renziani. Io dissento per un semplice principio di logica: solo chi ha il pelo sullo stomaco alto mezzo metro può sopportare la pressione di queste settimane di post-voto. I renziani sono tutti alla prima legislatura, e tutti provenienti – al massimo – da alcune legislature regionali, per cui ben al di sotto del limite di sopportazione necessaria di questi giorni. In parole povere: se fossero stati i renziani a dare il pacco, a quest’ora i nomi sarebbero saltati fuori da un pezzo. I traditori sono da cercare tra i vecchi deputati, abituati alle trame di palazzo e agli intrighi delle correnti. Inoltre i renziani sono 51, ne mancano sempre altri 50.

Questa sciagura ha portato, come volevasi dimostrare, alla rielezione di Giorgio Napolitano e all’incarico a Enrico Letta con l’appoggio assoluto del Pdl di Berlusconi. L’esecutivo Letta non sarà, come si pensava alla vigilia, un governo di scopo formato esclusivamente per approvare quelle poche riforme di cui abbiamo assoluta necessità (legge elettorale, riforma sul lavoro, giustizia, crisi economica etc.), ma sarà un governo nato e formato per durare un’intera legislatura. Certo, c’è sempre di mezzo il Cavaliere quindi nulla è segnato, ma tant’è. Concludo con un’amarezza: dal mio punto di vista la colpa di quello che è successo è esclusivamente del Movimento 5 Stelle. Credetemi, non lo dico perché ho bisogno di un capro espiatorio, lo dico perché i grillini hanno sbagliato tutto ciò che era possibile sbagliare. È legittimo fare i duri e puri in politica, io stesso era assai felice del loro arrivo a Montecitorio perché credevo che finalmente le cose potessero cambiare; è legittimo altresì fare i duri e puri seguendo il binario delle regole: dire sempre e soltanto no, non porta da nessuna parte, anzi sortisce l’effetto contrario perché indica all’avversario che hai punto debole ed è te stesso. A rigor di logica l’avversario principale del M5S era la malapolitica, e Berlusconi come principale attore della malapolitica. Quando Bersani li ha messi davanti al fatto compiuto, il loro errore è stato quello di negare anche una semplice fiducia al governo pur rimanendo all’opposizione. Se avessero detto di sì, oggi non avremmo un governo Letta-Berlusconi ma un governo Bersani controllato dai 5 Stelle con il Pdl in minoranza. Non solo: come minoranza avrebbero ricevuto la presidenza di uno tra il Copasir e la vigilanza Rai (che andranno a Lega e Sel), mentre adesso si ritroveranno con un pugno di mosche in mano (se fanno i bravi avranno qualche commissione minore di cui nessuno ha mai sentito nominare e dove potranno tranquillamente fare ciò che vogliono, tanto non contano una mazza comunque); e se Pd e Pdl avessero fatto l’inciucio (come dicono che sia successo in Sicilia) i grillini si sarebbero trovati in mano un fucile caricato a pallettoni pronti a far fuoco sia in Parlamento che fuori, con i consensi che sarebbero schizzati alle stelle. Quindi no, miei cari pentastellati, in questo momento non avete un cazzo e ve lo siete meritato.