Il 22 settembre scorso, le Nazioni Unite hanno approvato il Global Digital Compact (GDC), un documento di 16 pagine che impegna gli stati membri a ridurre il divario digitale e a promuovere uno spazio digitale che rispetti i diritti umani. A prima vista, sembra un accordo positivo, che cerca di affrontare questioni urgenti come la disinformazione, la regolamentazione dell’intelligenza artificiale e la protezione degli utenti più vulnerabili online. Fin qui, tutto sembra abbastanza lineare.

Il GDC può essere pericoloso

Tuttavia, a luglio, un gruppo di scienziati e ingegneri ha sollevato alcune perplessità in una lettera aperta, affermando: “Man mano che i pericoli associati a Internet e al web diventano più evidenti, i governi desiderano agire attraverso regolamenti e leggi. L’architettura tecnica può consentire e influenzare le modalità di utilizzo di Internet, ma da sola non può affrontare abusi, disinformazione, disuguaglianze o molti altri problemi. Ciononostante, la regolamentazione e la legislazione rappresentano un potenziale pericolo, se minano la natura fondamentalmente autonoma di Internet”.

Uno dei punti più critici, secondo i firmatari, è che alcune parti del GDC possono sembrare un invito a una governance più centralizzata. Inoltre, il processo che ha portato alla creazione del documento ha coinvolto principalmente i governi, senza dare troppo spazio alla società civile e agli esperti del settore.

Per capire meglio queste preoccupazioni, bisogna considerare come la governance del web ha funzionato finora. A gestirla sono state varie organizzazioni come la Internet Engineering Task Force (IETF), che mantiene i protocolli di comunicazione tra i dispositivi, il World Wide Web Consortium (W3C), che sviluppa gli standard e la Internet Corporation for Assigned Names and Numbers (ICANN), responsabile della gestione dei domini. Insomma, finora il web è stato guidato da organizzazioni indipendenti, e molti dei firmatari della lettera lavorano proprio per queste entità.

Il fenomeno dello Splinternet

Ciò che preoccupa maggiormente è il rischio di perdere una caratteristica fondamentale di Internet: la sua decentralizzazione. La rete, infatti, è strutturata in modo distribuito, senza un controllo centralizzato. L’idea che gli stati possano cercare di renderla più gerarchica solleva dubbi sul futuro di Internet, che potrebbe influenzare l’esperienza online di tutti noi: “Temiamo che il documento sia in gran parte una creazione dei soli governi scollegata da Internet e dal Web come li esperiscono attualmente le persone di tutto il mondo”.

Queste preoccupazioni si collegano anche al fenomeno della “Splinternet”, cioè la frammentazione della rete in sezioni nazionali o regionali, ognuna regolata da leggi diverse. Anche se il GDC mira, almeno in teoria, a creare una governance globale e armonizzata, c’è il rischio che spinga invece verso una frammentazione. Stati diversi potrebbero adottare approcci sempre più divergenti sulla regolamentazione del web, portando a un Internet spezzettato, con barriere digitali sempre più alte e contenuti accessibili solo a livello nazionale. Questo non solo minaccia l’apertura e la decentralizzazione della rete, ma potrebbe anche aumentare le disuguaglianze digitali, limitando l’accesso a informazioni globali e creando bolle di contenuti ristrette ai confini nazionali.

Genesi di splinternet

Nel 2001, al Cato Institute di Washington D.C., il ricercatore Clyde Wayne Crews tirò fuori per la prima volta il termine “Splinternet”. L’idea era quella di descrivere un fenomeno di “Internet parallele, gestite come mondi separati, privati e autonomi”. All’inizio aveva persino un tocco positivo, ma col tempo e con l’evolversi degli eventi, la parola ha assunto un significato molto più chiaro: frammentazione. Lo Splinternet (dal termine “split”, che significa dividere) è l’opposto dell’idea di un’unica Internet globale che connette tutto e tutti. Si parla piuttosto di reti separate, ognuna con la sua utenza specifica, che può essere a livello nazionale, continentale o internazionale.

Questa “contro-rivoluzione virtuale“, come l’ha definita l’Economist, ha radici in ragioni politiche, religiose, commerciali e di sicurezza nazionale. E oggi, la de-globalizzazione di Internet (ma non solo) è più che evidente. Alcuni Paesi hanno già costruito il loro Internet alternativo, come la Russia, che a causa del conflitto in corso ha creato una propria rete separata. Quello che stiamo vedendo è una moltiplicazione di Internet, con conseguenze dirette sul mondo degli affari. Le aziende, immerse nella trasformazione digitale, devono adattarsi a questo panorama sempre più complesso. Come ha sottolineato Andrea Daniele Signorelli in un long-form per ISPI, il futuro potrebbe vedere una rete mondiale frammentata non solo per interessi economici, ma anche nazionali. E tutto ciò rischia di ridurre l’interoperabilità e la connettività, limitando il potenziale economico e sociale.

Le conseguenze

Colpiscono soprattutto i dati. Che siano big data o small data, le aziende devono fare i conti con questa frammentazione. Gartner prevede che entro il 2025 più del 50% dei dati critici sarà creato e analizzato al di fuori del data center o del cloud tradizionale. Questo cambiamento porta con sé una serie di sfide tecniche, legali e operative. E non si tratta solo di tecnologie come il Web3 o l’iperconnettività, ma anche di questioni legate alla privacy, al Venture Capital e alle carenze di competenze nel mercato del lavoro.

In conclusione, alcuni esperti vedono in questa frammentazione una possibile opportunità. Potrebbe persino portare a una democrazia dei dati più stabile e sostenibile. Tuttavia, è chiaro che Internet oggi è un campo di battaglia tra le nazioni, ognuna con la sua idea di accesso e controllo. E mentre ci muoviamo in questo “new normal”, le aziende devono imparare a gestire la crisi continua e ad adattarsi a una realtà in cui la frammentazione è parte del gioco. E quindi tornano in gioco il GDC e i suoi detrattori contro lo Splinternet.