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Trentacinque deputati, di cui diciassette leghisti, ricorrono a vie legali per la stretta alle loro pensioni predisposte dal governo Monti. Tra i firmatari anche esponenti di Pd, Pdl, Fli, Verdi e Rifondazione.

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Sono 35 i “ribelli” della Camera che hanno firmato il documento nel quale si dà procura legale per bloccare l’emendamento del governo che da gennaio impone una stretta ai vitalizi del parlamentari.

I trentacinque sostengono che non gli si possono negare le vecchie regole perché sarebbe un’ingiustizia. La Procura della Camera a sua volta risponde picche: i tagli derivano dall’esigenza di contribuire «al contenimento delle spese del Paese». I ricorsi sono stati tutti rigettati, ma la sentenza definitiva arriverà solo tra venti giorni.

A pronunciarsi sarà il Consiglio di giurisdizione della Camera presieduto da Giuseppe Consolo (Fli), insieme a Tino Iannuzzi (Pd) e Ignazio Abrignani (Pdl). Il consiglio è stato letteralmente sommerso dai ricorsi, basti pensare che a febbraio erano “solo” 26 a cui dovevano una risposta, oggi sono già 35 e non è ancora finita.

Tra i firmatari si leggono i nomi di Roberto Rosso (Pdl, ancora in carica), di Adriano Paroli (Pdl) dimessosi a gennaio per fare il sindaco di Brescia, e di altri 33 ex onorevoli, quasi tutti con uno o due mandati negli anni novanta. Tra questi spiccano i nomi di 17 ex deputati leghisti – ma la Lega precisa che oggi non sono più nel partito – compreso l’ex presidente del consiglio regionale friulano Edouard Ballaman, condannato la scorsa settimana per l’uso improprio dell’auto blu (portava a spasso fidanzata ed amici).

Leggendo il documento affisso fuori dall’aula dove si terranno le riunioni del consiglio di giurisdizione, tra i deputati che compaiono vi sono inoltre i nomi di cinque ex Fi, tre ex An, cinque dell’Ulivo, due di Rifondazione e uno dei Verdi. Il centro della discordia è il prolungamento dell’età pensionabile per molti di loro: chi oggi andava in pensione a 50 anni, dovrà aspettare i 60 o i 65 per ricevere il vitalizio parlamentare tanto agognato. Paradossalmente alcuni di loro sono stati in Parlamento solo per due anni, dal 1994 al 1996, è bastato quindi riscattare i restanti tre anni di contributi per maturare la pensione per l’intera legislatura. Con le nuove regole, invece, dovranno necessariamente aspettare il compimento dei 65 anni per “ritirarsi dal lavoro”.

Gli avvocati dell’accusa sostengono piuttosto che ricevere la pensione è un diritto acquisito. E’ il caso di un ex deputato dei trentacinque firmatari, il quale, con le vecchie regole sarebbe andato in pensione a fine marzo di quest’anno a 50 anni d’età. Con le regole partite a gennaio dovrà aspettarne altri dieci per vedere sancito il suo “diritto acquisito”. Tutto questo con un «sacrificio notevolissimo», sottolinea il legale, che incide su un diritto acquisito e su progetti «esistenziali, familiari e lavorativi». Il vitalizio, argomentano gli avvocati, non è una normale pensione, ma, come dice il professore Giampaolo Maria Cogo, «è l’indennità di persone che prestano servizio per noi cittadini» e ne garantisce l’autonomia nel corso del mandato.

Tutto giusto? Nemmeno per idea, ribattono gli avvocati della Camera. la Costituzione italiana, all’art. 69, quando parla dell’indennità ai parlamentari, si riferisce allo stipendio non alla pensione. In più, alla base dei tagli c’è la grave ripercussione della crisi abbattutasi sulle famiglie e sui pensionati. Per cui, secondo l’ovvia logica degli avvocati della Camera, i primi a far sacrifici devono essere chi di particolari problemi non ne ha, ossia gli ex parlamentari e i deputati in carica.

Ma per l’accusa la giustificazione non regge: «Se dobbiamo far vedere ai cittadini che si taglia, lo si faccia per i parlamentari in carica. Non crolla certo il bilancio della Camera per queste poche persone». Infatti loro hanno fatto ricorso per non far crollare il bilancio…

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