Questo il mio personalissimo pensiero sui referendum abrogativi di domenica e lunedì prossimo.
Inizialmente erano quattro SI secchi, qualche giorno fa sono diventati 3 SI ed 1 NO, oggi sono due SI, un NO ed un NI. Forse è meglio che spieghi di che sto parlando.
Il primo referendum sull’acqua (scheda rossa) riguarda la modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica. Il quesito è il seguente:
“Volete Voi che sia abrogato l’art. 23-bis (Servizi pubblici locali di rilevanza economica) del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 “Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e finanza la perequazione tributaria”, convertito, con modificazioni, in legge 6 agosto 2008, n. 133, come modificato dall’art. 30, comma 26, della legge 23 luglio 2009, n. 99, recante “Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia”, e dall’art. 15 del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135, recante “Disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi comunitari e per l’esecuzione di sentenze della corte di giustizia della Comunità europea”, convertito, con modificazioni, in legge 20 novembre 2009, n. 166, nel testo risultante a seguito della sentenza n. 325 del 2010 della Corte costituzionale?”
In parole povere il quesito chiede l’abrogazione della norma che disciplina le modalità di affidamento del servizio idrico integrato, stabilendo che in via ordinaria l’affidamento avverrà tramite gara ad evidenza pubblica. Può avvenire anche per affidamento diretto ad una società pubblico-privata, nella quale però il privato è stato selezionato tramite gara.
In via eccezionale, l’affidamento può essere in house, ovvero ad una società completamente pubblica; in questo caso, l’ente affidante (il Comune) deve motivare la scelta dell’in house all’Antitrust, dimostrando che – per le caratteristiche morfologiche, geografiche e sociali – l’affidamento tramite gara risulta impossibile.
La norma di fatto impone una accelerazione del ricorso alla gara, stabilendo questa come via ordinaria. Si tratta di una forzatura di quanto previsto in sede europea, dove le tre modalità di affidamento sopra descritte hanno pari dignità e si giustificano con le caratteristiche storico-amministrative di ciascuna realtà. A Parigi, dopo trent’anni di gestione privata si è passati alla costituzione di un’azienda pubblica per la gestione del servizio: le tariffe però sono rimaste invariate, tre volte e mezzo le nostre. Il mio voto è SI.
Il secondo quesito sull’acqua (scheda gialla) è sulla remunerazione del capitale investito in servizi idrici e sulla determinazione della tariffa del servizio idrico integrato in base all’adeguata remunerazione del capitale investito. Il quesito testualmente recita così:
“Volete Voi che sia abrogato il comma 1, dell’art. 154 (Tariffa del servizio idrico integrato) del Decreto Legislativo n. 152 del 3 aprile 2006 “Norme in materia ambientale”, limitatamente alla seguente parte: “dell’adeguatezza della remunerazione del capitale investito”?”
Il quesito chiede l’abrogazione della remunerazione del capitale investito. La tariffa (definita da un decreto del ’96 dall’allora ministro dei lavori pubblici Di Pietro) incorpora tutti i costi del servizio: operativi, ammortamenti e finanziari. La remunerazione del capitale investito è la quota di tariffa con la quale si pagano i mutui accesi per finanziare gli investimenti o remunerare il capitale del privato che ha investito di suo.
La tariffa così costruita non solo recepisce la direttiva UE (che in vero prevede anche i costi ambientali che noi non paghiamo), ma consente realisticamente l’ammodernamento di un settore che per la tutela dell’ambiente e per i cambiamenti climatici in corso diventa strategico. Pensiamo a tutti gli investimenti – futuribili per noi – necessari al riuso delle acque reflue depurate in agricoltura o nei processi industriali; pensiamo agli interventi di ristrutturazione edilizia che consentirebbero di dimezzare i consumi d’acqua (oltre che impiegare migliaia di nuovi lavoratori).
La remunerazione del capitale investito è l’unico strumento che abbiamo per sperare che gli investimenti vengano fatti. I Comuni infatti – essendo vincolati dal patto di stabilità – non potranno investire nel servizio idrico. Investimenti che ammontano a circa 64 mld nei prossimi trent’anni. Il mio voto è NO.
Il terzo quesito (scheda grigia) è sul nucleare. Il Governo – impaurito dell’effetto Fukushima – a fine maggio ha cercato di fermare i referendum con un decreto legge, il famigerato “Omnibus“, in cui, con alcune modifiche, ha cambiato la legge del 31 marzo 2010 nr. 34 inerente alla costruzione di centrali nucleari nel nostro territorio. Il Partito Democratico ha fatto ricorso alla Consulta, e la Corte le ha dato ragione cambiando però il testo del quesito referendario da “Volete voi che sia abrogato il decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, nel testo risultante per effetto di modificazioni ed integrazioni successive, recante Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria, limitatamente alle seguenti parti: art. 7, comma 1, lettera d): realizzazione nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia nucleare” al più consono e specifico:
“Volete che siano abrogati i commi 1 e 8 dell’art. 5 del d.l. 31/03/2011 nr. 34 convertito con modificazioni dalla legge 26/05/2011 nr. 75?”
A quanto pare la modifica fatta dalla Cassazione cambia completamente il motivo per cui dovremmo votare sì o no al referendum sul nucleare. Infatti, e dopo l’intervento della Cassazione e in attesa di quello di domani della Corte Costituzionale – perché il Governo ha fatto ricorso al ricorso e domani il nuovo Presidente Quaranta riunirà per la sua prima volte la Consulta per una delicatissima risposta dalla quale dipenderà moltissimo il futuro dello stesso referendum -, a quanto credo di capire, con riserva di verifica, siamo chiamati a votare se vogliamo in sostanza una rinuncia definitiva al nucleare. Ora, se è comprensibile un atteggiamento di prudenza nel contesto attuale, tuttavia non ci sono evidenze scientifiche univoche tali per cui la politica debba precludersi in futuro di esaminare anche tale opzione, in un mondo dove ci sarà sempre meno petrolio, dove nessun grande Paese extraeuropeo vi rinuncia e dove i Paesi europei vicini o non rinunciano al nucleare (come la Francia e quelli dell’Est) o, se lo fanno, come Germania e Svizzera danno l’idea di concepirlo come una moratoria temporanea. E per questo il mio voto è fortemente in bilico: voto no o annullo la scheda? Attualmente il mio voto è NI.
Il quarto e ultimo quesito riguarda il legittimo impedimento (scheda verde), e qui, naturalmente, ci sono poche perplessità – anche se, a onor del vero, lo trovo sostanzialmente inutile dato che il 10 ottobre scade l’attuale legge e mi auguro fortemente che che in futuro non capiti spesso di avere il premier sotto numerosi processi e quindi indicare casualmente l’inaugurazione di un nuovo semaforo col solo verde il giorno in cui sarebbe dovuto andare in tribunale, spergiurando l’importanza imprescindibile di tale impegno – per cui mi troverò costretto a dare il mio voto positivo. Il testo del quesito è il seguente:
“Volete voi che siano abrogati l’articolo 1, commi 1, 2, 3, 5 e 6, nonché l’articolo 2, della legge 7 aprile 2010 n. 51, recante Disposizioni in materia di impedimento a comparire in udienza?”
Il referendum chiede la cancellazione totale della legge che permette a premier e ministri di non presentarsi in udienza invocando il legittimo impedimento, ovvero l’impossibilità di presentarsi davanti ai giudici derivante da impegni istituzionali. In origine la norma consentiva al premier e ai ministri di autocertificare il proprio impedimento; dopo la sentenza della Consulta invece l’impedimento deve essere stabilito dal giudice, che tuttavia difficilmente lo negherà per il semplice motivo che non si metterà mai contro le Istituzioni. Il mio voto è SI.
Ricapitolando.
Al primo quesito sull’acqua voto SI perché, anche se non mi dispiace l’idea che il privato possa gestire l’acqua, preferisco che lo faccia il pubblico e la legge Ronchi non lo permette. Al secondo quesito sull’acqua voto NO perché in caso di vittoria del sì i Comuni saranno obbligati a ricomprarsi le quote a suo tempo cedute loro, indebitandosi o comunque riducendo la possibilità di erogare servizi ai propri cittadini. Il terzo quesito sul nucleare è quello che mi crea più problemi, infatti deciderò solo all’ultimo momento non prima di essermi informato a dovere. Il quarto è decisamente un SI perché nessun capo di Governo deve potersi arrocare la possibilità personale di non presenziare ad un processo a carico solo perché si è costruito una legge che glielo permetta.
Ecco, queste sono le mie motivazioni personali. Mi auguro solamente che nessuno le prenda per oro colato o le critichi solo perché sono contrarie alle sue. Per il resto fate come volete ma state attenti che per la validità di ogni quesito del referendum è necessario il raggiungimento del quorum del 50% + 1 degli aventi diritto al voto. Se il quorum non viene raggiunto, le cose non cambieranno.
Dal 1997 al 2009 sono stati proposti ben 24 quesiti referendari e nessuno di questi ha raggiunto il quorum. E’ l’ora di far sentire la tua voce su argomenti molto importanti come quelli appena proposti.
IL 12 E 13 GIUGNO VAI A VOTARE I REFERENDUM QUALUNQUE SIA IL TUO VOTO!
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