QUESTO ARTICOLO HA PIÙ DI 13 ANNI.    

La Corte Costituzionale, in seduta da ieri mattina per stabilire l’ammissibilità dei due quesiti che chiedono di abrogare il “Porcellum”, ha deciso che i referendum sono inammissibili: «La Corte costituzionale, in data 12 gennaio 2012, ha dichiarato inammissibili le due richieste di referendum abrogativo riguardanti la legge 21 dicembre 2005, n. 270 (Modifiche alle norme per l’elezione della camera dei deputati e del senato della repubblica). La sentenza sarà depositata entro i termini previsti dalla legge».

Quando nel 2006 Roberto Calderoli, ospite di Mentana a Matrix, definì “una porcata” l’attuale legge elettorale, non si aspettava certo che la sua espressione in tv potesse essere tramutata in “Porcellum” dal politologo Giovanni Sartori. E non si aspettava probabilmente nemmeno un milione e duecentomila firme per farla abrogare a distanza di sei anni dalla sua approvazione.
La legge Calderoli n. 270 del 21 dicembre 2005, ha modificato il sistema elettorale italiano ed è stata usata finora due sole volte: alle politiche del 2006 in cui vinse Prodi, e alle politiche del 2008 in cui vinse Berlusconi.

Come funziona il Porcellum.
La legge, sostanzialmente, reintroduce il proporzionale pieno con un premio di maggioranza differente tra Camera e Senato. I seggi alla Camera vengono calcolati col proporzionale puro a livello nazionale, e viene dato un premio di maggioranza che porta la coalizione vincente al 55% dei seggi con 340 deputati eletti. Questi numeri consentono di avere una cospicua maggioranza a Montecitorio a fronte dei 316 che occorrono per la maggioranza semplice. La quota di sbarramento è del tre per cento.
Al Senato il calcolo è leggermente diverso perché sia il metodo proporzionale che il premio di maggioranza viene attribuito su base regionale. Ciò significa che il numero di senatori eletti a maggioranza non è preso sui voti nazionali, bensì da quelli regionali. Questo potrebbe comportare una differenza di maggioranze nei due rami del Parlamento. In Senato la quota di sbarramento è del quattro per cento.
L’attuale legge elettorale, per il modo in cui è stata scritta, dovrebbe incentivare la formazione di coalizioni in quanto la percentuale di sbarramento non consente ai partiti di concorrere in solitaria se non supportati ottimamente a livello nazionale; inoltre i candidati provengono da “liste bloccate”, cioè sono le stesse segreterie dei partiti a decidere  i candidati, nei modi e nelle selezioni che ritengono più idonee. L’elettore a sua volta è obbligato a scegliere l’intera lista a scapito della singola preferenza. I deputati vengono poi scelti in base all’ordine della lista presentata prima delle consultazioni.

Cosa chiedono i quesiti referendari.
Il Comitato referendario ha posto alla Consulta due quesiti, entrambi per i collegi uninominali, che tendono ad abrogare la legge Calderoli.
Il primo quesito chiede l’abrogazione di tutte le modifiche del Porcellum sia alla Camera che al Senato. In pratica propone la cancellazione del proporzionale con le liste bloccate e al ripristino dell’uninominale.
Il secondo quesito è più complesso del primo, in quanto non chiede l’abrogazione totale della legge, ma solo alcune parti. La proposta è di eliminare solo le leggi per l’elezione alla Camera e al Senato del 1993, leggi approvate quell’anno dopo il primo referendum sul sistema elettorale del 1993. Le leggi n. 276 e n. 277 del 1993, difatti disattesero il voto referendario, introducendo un sistema misto che assegnava il 75% dei seggi dall’uninominale, il restante 25 con il proporzionale. La legge fu chiamata “Mattarellum“, dal nome del relatore Mattarella, e riuniva tre diverse modalità di ripartizione dei seggi – quota maggioritaria di Camera e Senato, quota proporzionale alla Camera, recupero proporzionale al Senato – senza realmente soddisfare nessuno.
Come spiegano dal Comitato referendario, il secondo quesito «costituisce una variante del primo ma ha il medesimo obiettivo: nel senso che, con una tecnica abrogativa mirata, disposizione per disposizione, elimina comunque la disciplina introdotta dalla “legge Calderoli” al fine di ripristinare la “legge Mattarella”».

Cosa doveva decidere la Corte Costituzionale.
Agli inizi di dicembre scorso, la Cassazione ha dichiarato ammissibili il milione e 200mila firme raccolte dal Comitato referendario. Il merito della validità dei quesiti spetta invece alla Consulta, che dovrà dare risposta sull’ammissibilità. Fino a pochi giorni fa, si sosteneva che c’erano poche chances di non vedere passare i due quesiti; nelle ultime ore, invece, voci all’interno della Corte dicevano che i 15 giudici erano per la non ammissibilità dei referendum. Le motivazioni dei giudici tendono infatti al rischio che i quesiti proposti creino confusione in quanto poco chiari e incoerenti con le norme che regolano le elezioni. Nella sostanza i giudici hanno il timore che non sia così automatico passare dalla Calderoli alla Mattarella perché quest’ultimo è stato abrogato. Il rischio è lasciare il paese senza una legge elettorale che funzioni a dovere, con l’insidia dell’incostituzionalità e di un vuoto normativo proprio dietro l’angolo.

Il Comitato referendario naturalmente è contrario a questa tesi, perché l’abolizione del Porcellum riporterebbe semplicemente in vigore le regole previste dalla legge Mattarella. In molti, tra giuristi e costituzionalisti, sono convinti che questa sia l’ipotesi più sensata, ma i giudici di Palazzo della Consulta sono di diverso avviso.

Nel frattempo si era fatta largo una terza ipotesi proposta da Alessandro Pace, Vincenzo Palumbo, Nicolò Sandulli e Federico Sorrentino, e dai legali dell’Associazione dei giuristi democratici, Paolo Solimeno e Pietro Adami. La loro obiezione è che l’effetto Lazzaro non ci può essere «altrimenti, proponendo un referendum contro l’ergastolo, paradossalmente si rischierebbe di far rivivere la pena di morte». Pur appoggiando la via delle urne, la richiesta di Solimeno e Adami alla Consulta è stata quella di dichiarare l’incostituzionalità della legge sul referendum nella parte in cui consente di differire solo di 60 giorni l’efficacia degli esiti referendari. Serve un termine più largo – sostengono – per consentire al Parlamento di mettere a punto una nuova legge elettorale, differendo l’effetto abrogativo «fino all’entrata in vigore della nuova disciplina».

La Corte si è pronunciata pochi minuti fa dopo un giorno e mezzo di camera di consiglio. Il verdetto è stato per la non ammissibilità dei due quesiti:

«La Corte costituzionale, in data 12 gennaio 2012, ha dichiarato inammissibili le due richieste di referendum abrogativo riguardanti la legge 21 dicembre 2005, n. 270 (Modifiche alle norme per l’elezione della camera dei deputati e del senato della repubblica). La sentenza sarà depositata entro i termini previsti dalla legge».

Tra venti giorni la Corte dovrà presentare le motivazioni che hanno portato all’inammissibilità.