Eravamo ormai abituati a vedere Matteo Renzi fuori da questa campagna elettorale. Ma la manifestazione di ieri sera al teatro Obihall di Firenze con Pier Luigi Bersani apre uno scenario che solo nella mente dei cronisti era possibile: la presa del Pd.

Era da tempo che non si vedeva una folla di gente unita per le sorti del partito. In sala c’era un’amalgama di attivisti composta da tutte le aree del Pd. D’altra parte è stato lo stesso Renzi a spiegare che «non ci sono renziani e bersaniani», è stato Renzi a rivolgersi direttamente «a chi non mi ha votato», è stato Renzi a indossare i panni del “capo” carismatico e affidabile, il capo di cui nessuno deve avere paura. E l’ha detto con la stessa spontaneità che usava in tour col camper; quella spontaneità che l’ha reso noto al di fuori della sua Firenze. L’attaccamento all’azienda è un dato indispensabile se si vuol proseguire entro certi limiti; ma l’idea che si è avuta ieri sera è quella di un partito nuovo, aperto molto più di prima alla Terza Repubblica.

Pare che l’idea del sindaco fiorentino di prendersi Palazzo Chigi, dopo la breve apparizione di Bersani, sia alacremente scivolata nell’oblio. Non par vero che nella mente di Renzi ci sia la volontà di far arrivare il suo avversario delle primarie dritto dritto al governo. Ma col senno di poi il ragionamento renziano ha una sola domanda da porsi: che fine farà il Pd una volta che il suo segretario sarà eletto alla guida del paese? Torna alla luce una parolina che un tempo fu magica: congresso. Un congresso aprirebbe le porte ad un’innovazione forte e nel contempo storica. Il fiume nuovo potrebbe trovar spazio tra i Democratici, anche tra chi, oggi, vede in Renzi il nemico da abbattere. La parolina sta per essere scongelata anche da quegli autorevoli dirigenti che vedono un nuovo inizio con Renzi in segreteria.

Sarebbe quel salto generazionale che Bersani pensa da tempo, il passaggio di testimone che risolverebbe una volta per tutte il problema dell’amalgama mal riuscito di dalemiana memoria. Una nuova generazione di dirigenti che come primo punto non avrebbe più l’appartenenza alle correnti, ma l’appartenenza alle diverse piattaforme politiche composte dai Renzi, i Fassina, gli Orfini, gli Orlando, i Giovani Turchi, i “nativi” di osservanza bersaniana o di altre culture più o meno liberal. Tutte con al centro un unico fondamentale comun denominatore: il Partito democratico. Già un cambiamento, seppur piccolo, si nota: capi delle federazioni, segretari regionali, dirigenti di circoli sono in gran parte nuovi; più una marea di parlamentari di prima nomina tra Camera e Senato.

Per una vittoria pulita al congresso, Renzi deve vincere senza indebolire Bersani a Palazzo Chigi. Riuscirci equivale alla quadratura del cerchio, perché gli equilibri politici sono così inevitabilmente vicini che la vittoria dell’uno significa inevitabilmente una disfunzione dell’altro. Se poi aggiungamo la vita abbastanza difficile che avrà la stabilità di governo, soprattutto al Senato, capiamo quanto questa possibilità sia poco abbordabile per la struttura del nuovo Pd.

Anche Bersani vorrebbe innovare il partito, innovarlo però con un ricambio organizzato. L’idea del segretario è sul modello del partito socialista francese, dove François Hollande è il capo del governo e anche il capo politico del partito, mentre Benoît Hamon è una sorta di segretario organizzativo. Un partito rinnovatore non solo nei contenuti ma soprattutto nella dirigenza, è l’ideale per Renzi ma anche per Bersani. Il segretario verrebbe premiato per il modo di gestire l’irruenza del giovane sindaco e nel frattempo ricompensarlo per l’idea innovatrice che è riuscito a portato all’interno del partito. E un Pd renziano, forse, riuscirebbe ad essere realmente il dominus delle varie componenti; in grado di enfatizzare i disegni, ipotizzare mosse e alleanze future proprio per l’approccio politico completamente diverso rispetto al passato. Un piano, questo, che potrà realizzarsi solo se le pedine riescono a prendere il posto giusto nella scacchiera.

Renzi dovrà portare avanti l’idea di una nuova fase nella vita del centrosinistra. Subito però, “Adesso” non basta.

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