Mentre da Cernobbio Tremonti parlava di possibili errori in un decreto varato in quattro giorni e la Marcegaglia esprimeva preoccupazione, a Roma la Commissione Bilancio del Senato varava il testo della manovra da domani all’esame dell’aula di Palazzo Madama. A far discutere soprattutto l’articolo 8 della manovra ritoccato con due emendamenti dalla maggioranza e contrastatissimo da CGIL e gran parte dell’opposizione perché da la possibilità, con accordi aziendali o territoriali, di derogare alle leggi e al contratto nazionale di lavoro:
“Fermo restando il rispetto della Costituzione, nonché i vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali di lavoro le specifiche intese di cui al comma 1 operano anche in deroga alle disposizioni di legge che disciplinano le materie richiamate dal comma 2 alle relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali”.
Sarebbe così possibile con intese a macchia di leopardo rendere licenziabili i lavoratori senza giusta causa o giustificato motivo. A stipulare gli accordi in deroga sarebbero legittimate le rappresentanze con più iscritti, anche solo a livello locale. Non sarebbe previsto il referendum di approvazione dei lavoratori. Le intese possono quindi solo preferire la sanzione del risarcimento a quella della reintegrazione nei licenziamenti per i quali non è stata riconosciuta la giusta causa. Gli accordi non possono modificare la disciplina di quelli nulli, come quelli discriminatori o in stato di gravidanza, perché per questi vale la regola secondo cui è come non ci fossero stati e danno perciò luogo necessariamente alla reintegrazione nel posto di lavoro. Inoltre per essere valido l’accordo e interessare tutti i lavoratori interessati , deve essere sottoscritto sulla base di un criterio maggioritario relative alle predette rappresentanze sindacali.
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Soddisfatto, naturalmente, il ministro del Welfare Sacconi. Confindustria, Cisl e Uil apprezzano che il governo abbia accolto le obiezioni sui criteri di rappresentatività dei sindacati per evitare le sigle di comodo e gli accordi pirati. La CGIL però rincara la dose: «le modifiche apportate dal governo all’articolo 8 dimostrano la volontà di annullare il contratto di lavoro nazionale, lo statuto dei lavoratori, di violare le tutele della costituzione sull’uguaglianza sul lavoro, le ragioni dello sciopero generale sono ancora più forti» – dice la segretaria Camusso. Il Pd è duro: «il governo è irresponsabile si torni alla concertazione» chiosa Bersani. Tranchant il leader dell’Idv Di Pietro: «è la dimostrazione dell’odio della maggioranza verso i lavoratori».
Ma nel testo della finanziaria fanno discutere anche altre novità, come quella che dà la possibilità al fisco di intervenire coattivamente per reclamare le somme non riscosse con il condono tombale del 2002, che però sarebbero secondo l’Agenzia delle Entrate almeno in parte irrecuperabili. Prevista inoltre la possibilità di accorpare gli enti previdenziali con la nascita di una super-INPS.
Sulla controversa questione della pubblicazione on line dei redditi, i comuni potranno riportare su internet le dichiarazioni, ma senza nomi e cognomi, e aggregate per categorie. Confermata la tassa del 2 per cento per chi manda i soldi all’estero, che non vale però per chi ha matricola INPS. Una norma voluta dalla Lega e che per il Pd è contro gli immigrati. Da martedì si discuterà nell’aula di Palazzo Madama, che dovrà approvare la finanziaria entro sabato. Il presidente Schifani è convinto che non ci sarà voto di fiducia. Il ministro Romano è più cauto: «vedremo».
Detto questo per ora appare esagerato e quanto meno inutile parlare di libertà di licenziare come alcuni dicono in questi giorni, del resto organizzare uno sciopero generale senza conoscere appieno la manovra è un tantino strano. A primo acchito il nostro sistema lavorativo così facendo si avvicinerebbe a quello tedesco – peraltro la richiesta di un cambiamento è arrivata anche dalla BCE – così da consentire al lavoratore e all’impresa di trovare il migliore accordo territoriale possibile. Poi – e lo sappiamo benissimo – tutto diventa demagogia nella politica italiana.[/fusion_builder_column][/fusion_builder_row][/fusion_builder_container]
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