Al capo dello Stato va riconosciuta la coerenza. Se il condannato si fosse fatto da parte, lasciando la vita politica come nella richiamata nota del 13 agosto, la grazia sarebbe arrivata.

Adesso è chiaro: «Non si sono create via via le condizioni [fusion_builder_container hundred_percent=”yes” overflow=”visible”][fusion_builder_row][fusion_builder_column type=”1_1″ background_position=”left top” background_color=”” border_size=”” border_color=”” border_style=”solid” spacing=”yes” background_image=”” background_repeat=”no-repeat” padding=”” margin_top=”0px” margin_bottom=”0px” class=”” id=”” animation_type=”” animation_speed=”0.3″ animation_direction=”left” hide_on_mobile=”no” center_content=”no” min_height=”none”][…] nulla è risultato più lontano del discorso tenuto sabato dal senatore Berlusconi dalle indicazioni e dagli intenti che in quella dichiarazione erano stati formulati». Dunque il cavaliere rimproveri solo se stesso.

Il Colle la strada per evitare l’umiliazione di pulire i cessi di qualche reverendo gliela aveva davvero aperta. Alla faccia dell’eguaglianza di tutti di fronte alla legge, Napolitano era pronto a recitare la parte di Gerald Ford con Richard Nixon, a fare quel gesto di pacificazione nazionale che avrebbe garantito la continuazione del berlusconismo senza il suo fondatore. Il solito calcolo della vecchia (e perdente) sinistra nei confronti del Caimano: se mollo un po’ sul conflitto di interessi, sulle leggi ad personam, sulla bicamerale, sulle riforme, probabilmente lo ricondurrò alla ragione. Quella mentale più che di stato.

Tutto questo vent’anni dopo la lezione di Scalfaro, l’uomo che aveva annullato il berlusconismo in meno di un anno a colpi di par condicio e schiena dritta.

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