La vicenda Monte Paschi è molto più seria di quello che pensiamo. Gli attori coinvolti nel mega inghippo politico-finanziario della terza banca italiana devono stare attenti non solo alle loro azioni, ma soprattutto a ciò che dicono. Il rischio nell’immediato è che la politica si interfacci con i problemi della banca facendo diventare la campagna elettorale un cabaret; nel futuro invece potrebbe addirittura segnare la fine del più antico gruppo creditizio italiano.
Sul tavolo – al momento – ci sono ben quattro proposte tutte più o meno ponderate. La prima è del leghista Bobo Maroni e prevede il commissariamento; la proposta di Oscar Giannino prevede la nazionalizzazione; Beppe Grillo vuole una commissione d’inchiesta, mentre Pier Luigi Bersani vede il presidente Profumo e l’ad Viola agire in qualità di commissari de facto. Senza snaturare nessuna delle quattro, al sottoscritto sembra quella del segretario Pd la più consona perché le altre a parole sembrano essere risolutive, in realtà invece segnerebbero la fine della banca.
Facciamo ordine ai pensieri. Va innanzitutto ricordato che le sorti di una banca si reggono sulla sottile linea di fiducia che i correntisti ripongono nella sua solidità. Il fallimento di una banca non fa bene a nessuno, anzi sarebbe la classica vittoria di Pirro per chi spera nel tracollo finanziario. Gridare al lupo e fare gli indignati per i super-bonus dei banchieri augurandosi la caduta della banca, non elimina il problema né cala di un centesimo il loro lauto guadagno: chi ci perde non è il management bancario bensì i correntisti e i piccoli imprenditori che si vedrebbero tagliare le linee di credito.
Il prestito che lo Stato ha fatto a MPS non è un regalo ma un affare. Il governo italiano – a differenza di quelli inglesi, spagnoli e tedeschi che sono entrati nel capitale delle banche come azionisti ed hanno perso miliardi di euro – ha sottoscritto con il Monte Paschi obbligazioni con tassi d’interesse del 10%: a occhio e croce il doppio di quanto costerebbe accedere ad un mutuo oggigiorno. Cosa comporta questa operazione è semplice: se la banca fallisce lo Stato ci rimette il prestito, se la banca ritorna operativa lo Stato ottiene il rientro del prestito con gli interessi.
Perché MPS ha chiesto l’accesso ai Monti bonds? Per due motivi fondamentalmente: l’acquisizione di Antonveneta e le operazioni in derivati. La prima, come ormai sappiamo, è stata un’operazione nata male e conclusasi peggio; ora è la Magistratura che si sta occupando dei profili giudiziari e chi ha avuto responsabilità è giusto che paghi. Il fenomeno dei derivati invece è l’eterno vaso di Pandora delle banche. Nel caso di Siena i fattori sono molteplici tutti emersi chiaramente con la cattiva gestione della banca, con managers non all’altezza, addirittura mancavano presidi per il controllo del rischio e gli organi amministrativi erano tenuti all’oscuro dei fatti o erano incompetenti. Un inferno. La cura, allo stato attuale, sarà lunga e faticosa. La questione non si risolve commissariando o nazionalizzando l’ente, MPS ha bisogno di mestieranti di spessore, di un management privato che si confronti con il mercato per valorizzare la banca e garantirne l’indipendenza. Al contrario, col commissario, lo Stato avrebbe davvero pochi margini, e, anche se facesse un buon lavoro, porterebbe quasi automaticamente ad una svalutazione della stessa. Inoltre, a conferma del fatto che la nazionalizzazione sarebbe il male peggiore, si dovrebbe trovare un acquirente – magari estero, onde evitare il rinnovarsi del problema – che comprerebbe un’ottima rete commerciale con pochi spiccioli.
Occhio che non sono differenze di poco conto. A tal proposito credo che il progetto Profumo-Viola sia il più rassicurante e redditizio perché, anche se il piano di rilancio sembra un’impresa ardua, in realtà è l’unica possibile. Il piano prevede il ritorno all’attività tradizionale del gruppo bancario, magari diminuendo le dimensioni e tagliando i costi – specialmente quelli del personale superfluo che hanno portato il Monte Paschi ad avere una rappresentanza superiore alle altre banche. Un interessante clausola del progetto prevede di recedere dalla politica senese che tanto ha distrutto il colosso bancario. L’aumento di capitale ad un miliardo di euro entro il 2015, poi, dimezzerebbe la quota della Fondazione MPS all’interno della banca. Ciò significa che il controllore storico avrebbe solo il ruolo di azionista rilevante che, assieme ad altri, contribuisce a definirne le linee strategiche. Ma comporterebbe comunque la dislocazione della linea di comando, tanto che la sede, probabilmente, non sarà più a Siena al contrario dello statuto della Fondazione che li impegna a difendere la senesità della banca.
La vera sfida di MPS è recuperare redditività e trovare investitori che credono nella bontà del progetto, chiarisce Profumo nell’intervista di ieri al Sole 24 Ore, solo così la banca rimarrà indipendente senza bisogno di essere svenduta. Ma nemmeno nazionalizzarla aiuta.
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