Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti sono ai ferri corti: ognuno trincerato nei propri no comment e alle proprie verità celate ma evidenti, fanno di tutto per far sembrare una guerra politica all’interno del Pdl un parapiglia tra coinquilini che mal si sopportano ma che devono necessariamente convivere per forza maggiore.

Della zuffa tra i due se ne era parlato solo qualche giorno fa ma è stata subito smentita: i due non si parlano da giorni e quel che si leggeva sui giornali erano bufale coordinate ad arte dai frondisti opposti al super-ministro dell’Economia. Ieri però il Giornale di famiglia dà voce all’ultimatum del Cavaliere: «Dimissioni! La verità – si legge nell’articolo – è che si può governare anche senza Tremonti. Ora più che mai». La riga pare arrivare dal nemico storico di Tremonti, il sottosegretario all’economia Guido Crosetto. E chi se no!

Allo stato attuale il Professore pare non abbia voglia di scontrarsi con il Presidente del Consiglio, e anche se la sua immediata risposta sulle dimissioni sia tornata al mittente (“Non può cacciarmi”, che sembra un ritornello già visto ai tempi degli scontri con Fini), il titolare di via XX Settembre dice di voler stare lontano dalle “beghe” nazionali per concentrarsi solo sulla crisi internazionale.

Certo è che nella maggioranza il titolare dell’Economia appare sempre più isolato. L’ultimo in ordine di tempo ad esprimere l’incompatibilità tra le deleghe in bianco di Tremonti e l’attuale maggioranza che vuole partecipare alle decisioni che contano con tutti i suoi effettivi, è stato il “Responsabile” Domenico Scilipoti, chiedendo addirittura una “sfiducia” a Tremonti dei vertici del Pdl. Solo l’ennesima presa di posizione del pinco pallino qualsiasi con un minimo di notorietà. La faccenda però, come dice un ministro, «È un pasticcio».

I pasdaran naturalmente non mancano, si sono visti soprattutto alla votazione segreta per l’arresto di Marco Milanese. Voci delle ultime ore dicono che una missiva di alcuni deputati Pdl sia arrivata ai banchi del Pd pronti, a loro dire, a fare forza comune per togliersi di torno il ministro scomodo. Si parla di cinque deputati che durante le votazioni di giovedì abbiano votato a favore dell’arresto, non tanto per scaricare Milanese, quanto consapevoli che dal voto sarebbe potuto cascare il buon Giulio. Se poi il voto contrario si sarebbe portano dietro l’intero governo, diveniva solo uno dei tanti effetti collaterali che non paiono affliggere minimamente i responsabili del gesto. Da qui l’invio della lettera al Pd contenente una sola frase: «Se voi presentate alla Camera una mozione di sfiducia contro il ministro dell’Economia, parecchi di noi ve la firmano, e lo mandiamo a casa…». Eloquente, ma dal fronte opposizione la richiesta viene presa ancora con le molle.

Dall’altro lato Berlusconi tentenna. I più informati confermano che i due non si sono parlati la mattina della votazione come letto sui giornali, ma solo venerdì sera e sabato mattina con toni molto pacati e civili. Il premier non sa se staccare la spina o meno, e questo lo si denota specialmente dall’umore che manifesta con i diversi interlocutori: ai frondisti si dice furioso con Tremonti, con gli altri si tiene sulle sue paventando una possibile fine del governo con la caduta del super-ministro. Del resto Berlusconi è un maestro nello scaricare la colpa sugli altri, ma stavolta pare voler fare sul serio facendosi carico dell’economia nazionale in prima persona.

Poi ci sono i «riservisti della politica» – come li chiama Alfieri sulla Stampa –  che si dicono «pronti a dare una mano per salvare l’Italia», sussurrano ad un governo screditato di «andare a casa». Di questa frangia fanno parte politici ed economisti di vecchia data, banchieri e presidenti di cda, manager dell’industria e delle comunicazioni. Insomma, tutti pronti a dare una mano per il bene del paese: Romano Prodi rientrato dalla Cina con ambizioni non più da premier ma da Presidente della Repubblica; Mario Monti con le sue continue apparizioni in tv – da Ballarò a Porta a porta a L’Infedele di domani sera – che urge per un governo tecnico; Alessandro Profumo con ambizioni da Ministro dell’Economia sotto la guida di Casini; Corrado Passera di Banca Intesa con i suoi maestosi manifesti per la crescita anti-Tremonti. Ma il più accreditato rimane Luca Cordero di Montezemolo, che con la sua Fondazione Italia Futura da tre anni detta l’agenda economica italiana senza mai riuscire a spostare di un punto l’asticella della crescita nel nostro paese. Dalla sua ha l’attenuante che finora nessuno l’ha mai preso sul serio. Tutti però vogliono far parte del “Grande Centro”, nel quale, dopo l’uscita di scena del Pd alleatosi con Idv e SeL, gli spazi di manovra si sono subitaneamente aperti per far spazio a tutti coloro che, in un modo o nell’altro, credono di avere la ricetta per l’uscita dalla crisi.

In questo contesto la parte del leone la fa la legge elettorale. Il “Porcellum” pare abbia le ore contate, e per ribaltare la possibilità di un voto referendario che lo farebbe fuori completamente (le firme sono attualmente oltre le 500mila richieste), Berlusconi ha chiamato a sè Denis Verdini chiedendogli di bypassare l’attuale legge per poter rivincere le prossime elezioni – adesso o nel 2013 – riformando di fatto il Porcellum ma senza stravolgerlo. Il piano allo studio del coordinatore del Pdl è un sistema ancora più bipolare, in modo che la strenua avanzata dei centristi muoia alla nascita. Casini, mangiata la foglia, a malamente risposto al segretario Alfano che voleva fargli credere il contrario. Ma Casini non è stupido, al contrario di noi elettori che le foglie le mettiamo nell’insalata.