Le valigie erano pesanti, non solo di oggetti, ma anche di ricordi. I fisici ebrei tedeschi-ungheresi che le portavano con sé avevano lasciato l’Europa in fuga dai nazisti, e quelle valigie contenevano tutto ciò che era rimasto delle loro vite.

Albert Einstein fu uno dei primi a partire. Quando si insediò a Princeton, svuotò le sue valigie e si dedicò alla sua ricerca. Leó Szilárd, invece, non riuscì mai a liberarsi del peso del passato. Le sue valigie rimasero sempre pronte, come se l’urgenza di tornare fosse incombente.

Nel cuore del Progetto Manhattan, i fisici fuggiaschi si dedicavano all’arte della bomba atomica. Era un’ossessione per svelare i misteri di cosa ci fosse “dentro”, sia dell’atomo in sé che degli strati psicologici di ognuno di loro.

Inseguire l’essenza delle loro vite significava anche cercare un posto in un mondo ormai poco familiare. I fisici fuggiaschi erano gli unici superstiti dopo il collasso europeo, e si sentivano come estranei in un continente che non era più il loro.

Oppenheimer nel mondo di ieri

Stefan Zweig, il grande scrittore austriaco, reagì alla fine del suo “mondo di ieri” abbracciando l’oblio in Brasile con un’overdose di barbiturici in risposta al declino dell’Europa: quando il mondo in cui siamo cresciuti muore, il nostro vivere ne è compromesso. E così, i fisici a Los Alamos, in un atto di trasformazione, scelsero di diventare «Morte, il distruttore di mondi», come sintetizzò efficacemente Oppenheimer nel documentario della NBC del 1965, The Decision to Drop the Bomb. È forse per questo che, in questi ultimi giorni di fine estate del 2023, non possiamo ignorare l’epopea di Oppenheimer nella versione cinematografica di Nolan che esce proprio oggi in Italia: il Progetto Manhattan, in tutta la sua epicità, ci rivela che non possiamo mai davvero conoscere noi stessi, ma soltanto plasmare la nostra percezione di chi siamo.

Il mio nome è Robert

Julius Robert Oppenheimer, il capo di quella titanica creazione, puntava a forgiare un’arma costosa quanto la costruzione dell’altra Manhattan. In fin dei conti desiderava unicamente raggiungere l’obiettivo finale. Fin dall’inizio, propose di chiamare l’arma “gadget”, una scelta lessicale che schivava gli ostacoli mentali connessi alla parola “bomba”. Ma cosa passò per la mente dei fisici a Los Alamos mentre deliberavano l’annientamento di migliaia di giapponesi attraverso orrori inenarrabili a Hiroshima e Nagasaki? Non l’intenzione, ma l’insieme di circostanze che li spingeva a commettere un atto che, in tempi di pace sarebbe stato un omicidio, ma in tempo di guerra è diventato un atto eroico.

Trailer ufficiale e definitivo di Oppenheimer di Christopher Nolan

Le sfide del progetto Manhattan

Il Progetto Manhattan fu un enorme sforzo per l’apparato industrial-militare americano e fu reso possibile grazie alla collaborazione tra il Governo statunitense e alcuni tra i più brillanti scienziati del tempo. Gli studi di fisica nucleare furono accelerati dal timore che la Germania potesse realizzare una bomba atomica prima degli Stati Uniti.

Con una lettera del 1939, Albert Einstein mise in guardia il presidente americano Franklin Delano Roosevelt sulle capacità dei nazisti di creare armi nucleari. La lettera ha contribuito a dare il via al Progetto Manhattan. Il presidente Truman ha poi dato avvio all’Operazione Trinity, la prima detonazione al mondo di un’arma nucleare.

Oppenheimer si dimostrò di gran lunga più abile del suo omologo tedesco Werner Heisenberg, e l’impellente necessità di porre fine al caos europeo lo spinse al punto di forgiare l’irraggiungibile. Gli eventi che segnarono il vero punto di svolta furono due: la morte del presidente Franklin Delano Roosevelt, il 12 aprile 1945, e la successiva ascesa del vicepresidente Harry Truman, un politico del rurale Missouri ignaro degli scopi del Progetto Manhattan. Poi, il 7 maggio 1945, la Germania si arrese dopo l’epilogo di Adolf Hitler. E così, il futuro dell’arma più spaventosa mai concepita dall’umanità si presentò in tutta la sua efficacia.

Un assurdo paradosso

Una recente biografia di Enrico Fermi, scritta da Gino Segrè e Bettina Hoerlin, racconta come la storia si snodò attraverso la burocrazia, la comunicazione caotica e la mancanza di riflessione. In questo pantano di dettagli, si cela l’orrore vero della bomba, che trascende la colpa innocente dell’atomo. A metà giugno 1945, Oppenheimer, Fermi e altri eminenti fisici del progetto, Lawrence e Compton, redassero una relazione sull’uso del gadget. Sottolineavano che non esisteva alcun modo di dimostrare tecnologicamente la fine della guerra e che l’uso diretto a fini militari sembrava l’unica strada possibile. Per giustificare i finanziamenti statali e privati, dovevano perpetrare una carneficina per confermare che il Progetto Manhattan poteva raggiungere il suo scopo. Alquanto paradossale.

Le differenze tra tecnica ed etica

Nel riflettere sulle questioni, i ricercatori riconoscevano la loro posizione come privilegiata, ma si astenevano da pretese di competenza nelle sfide politiche, sociali e militari scaturite dall’avvento dell’energia atomica. La tensione tra tecnica ed etica emergeva palese: coloro che possedevano la conoscenza esitavano a decidere, mentre coloro che avevano la responsabilità di prendere decisioni difendevano la propria ignoranza come se fosse una virtù, un pretesto per rimettere il peso delle scelte sugli altri.

Nascita del Progetto Manhattan

Nel pieno della Seconda Guerra Mondiale, il governo americano si trovava di fronte a un dilemma. I nazisti stavano facendo progressi nel campo della ricerca nucleare, e c’era il rischio che potessero sviluppare una bomba atomica. Pertanto, se i nazisti avessero avuto un’arma nucleare, avrebbero potuto vincere la guerra.

Nel 1942, gli Stati Uniti si lanciarono in un progetto segreto e ambizioso: sviluppare la bomba atomica prima che lo facessero i nazisti. Il Progetto Manhattan, come fu chiamato, coinvolse centinaia di migliaia di persone e costò miliardi di dollari. Il progetto era un’impresa colossale. Gli scienziati dovevano capire come creare un’arma che sfruttasse la fissione nucleare – un processo a quel tempo ancora sconosciuto – per liberare un’enorme quantità di energia. Dovevano anche trovare un modo per costruire una bomba che fosse abbastanza potente da essere effettivamente distruttiva.

A capo del progetto misero Robert Oppenheimer, fisico teorico di fama mondiale, all’epoca molto noto, ma dal carattere particolarmente strano. Oppenheimer e il suo team di scienziati lavorarono tra mille imprevisti per sviluppare la bomba, e il 16 luglio 1945 il Progetto Manhattan ottenne il suo successo: la prima bomba atomica fu testata nel deserto del New Mexico e fu così potente da spazzare via un’intera collina.

La fissione nucleare

Il fisico ungherese Leo Szilard fu il primo a formulare l’idea di sfruttare la fissione nucleare per creare una reazione autoalimentante. Negli anni ’30 e ’40, Szilard condusse una serie di esperimenti segreti per evitare che le informazioni finissero nelle mani dei nazisti.

Reparto metallurgico

Il progetto raggruppò alcuni dei migliori scienziati del mondo, tra cui Arthur Holly Compton, vincitore del Premio Nobel nel 1927. Compton guidò il reparto metallurgico per produrre reattori nucleari al fine di convertire l’uranio in plutonio. La sua scoperta sull’importanza del plutonio ha influenzato la produzione di armi nucleari ed è stata determinante nella scelta di Robert Oppenheimer come capo della sezione teorica del progetto.

Uranio 235

Ernest Lawrence, premio Nobel nel 1939, ha svolto un ruolo decisivo nella separazione elettromagnetica dell’uranio 235, un processo fondamentale per la costruzione della bomba atomica. Insieme a Compton, ha dato nuova linfa al programma atomico statunitense nel 1942, quando era in fase stagnante.

Mr Wolf

Enrico Fermi, il primo docente italiano di fisica teorica e premio Nobel nel 1938, ha guidato importanti ricerche nel campo della fissione nucleare sin dagli anni ’30. Ha compreso il potenziale dell’energia prodotta dalla fissione e nel dicembre del 1942 ha messo in funzione la prima pila atomica, chiamata Chicago Pile 1, che è stata il primo prototipo di reattore nucleare. Fermi è stato una figura chiave nella progettazione e nella risoluzione di problemi tecnici del Progetto Manhattan.

Gli uomini del Progetto Manhattan

La squadra di scienziati era composta da altre figure di spicco come Niels Bohr, Victor Weisskopf, Eugene Wigner, John von Neumann, Max Frisch, Edward Teller, Emilio Segrè e James Chadwick.

Chiamiamolo progresso

Il Progetto Manhattan è stato uno dei progetti di ricerca e sviluppo più costosi e ambiziosi del Ventesimo secolo (2 miliardi di dollari, circa 30 miliardi di dollari di oggi). Il suo obiettivo era quello di sviluppare una bomba atomica prima che lo facessero i nazisti. Il progetto coinvolse centinaia di migliaia di persone in diversi siti nel Nord America e alcuni tra i più noti fisici del Novecento.

Alcuni storici hanno sostenuto che il Progetto Manhattan non è stato necessario per vincere la Seconda Guerra Mondiale: i nazisti stavano già perdendo la guerra, e non avevano le risorse per costruire in tempo una loro bomba. Da un lato, la bomba atomica potrebbe aver contribuito a porre fine alla guerra mondiale in anticipo (i giapponesi non si erano ancora arresi). Dall’altro, ha innescato una corsa agli armamenti nucleari che continua ancora oggi.

Il lascito del Progetto Manhattan

Ad oggi, nove paesi possiedono testate nucleari: USA, Russia, Regno Unito, Francia, Cina, India, Pakistan, Israele e Corea del Nord. Secondo un’analisi pubblicata da Mauldin Economics nell’aprile 2017, solo Stati Uniti e Russia hanno la “triade” completa di armi nucleari: missili con base a terra, missili da sottomarini e ordigni montati su bombardieri strategici. Cina e India potrebbero anche avere la triade, ma non è certo.

I paesi che suscitano maggiore preoccupazione sono i cosiddetti “paesi canaglia”, come li definì George Bush: Pakistan, Iraq, Iran e Corea del Nord.

Controversie

La bomba è stato uno dei progetti più controversi della storia. La formazione di una coscienza anti nucleare è recente, anche per il cosiddetto Occidente. Ne prese atto anche il gruppo del Progetto Manhattan, in particolare Robert Oppenheimer, al quale, dopo il lancio della bomba atomica, è attribuita la frase: «Ora sono diventato Morte, il distruttore di mondi».

La decisione di utilizzare la bomba atomica, infatti, ha suscitato polemiche tra gli stessi scienziati coinvolti nel progetto. Alcuni si sono opposti alla bomba per ragioni morali, come Leo Szilard che ha promosso una petizione contro la sua creazione. Anche Enrico Fermi, dopo aver assistito allo sgancio del primo prototipo nel 1945, ha iniziato a mettere in dubbio la necessità di procedere con un atto così distruttivo. La decisione di sganciare la bomba sulle città giapponesi ha causato un grande clamore e ha sollevato discussioni sul significato di tutto il percorso scientifico compiuto.

Adesso sono Morte

Robert Oppenheimer, che nel documentario The Decision to Drop the Bomb disse «Adesso sono diventato Morte, il distruttore di mondi», citò un passo della Bhagavadgītā, l’antica scrittura indù.

La Gita è un poema epico indiano che racconta la battaglia tra i Pandava e i Kaurava: Arjuna, un principe Pandava, si rifiuta di combattere perché non vuole uccidere i suoi parenti; Krishna, il suo mentore, gli rivela la vera natura dell’universo.

Tratto dal documentario della NBC del 1965, The Decision to Drop the Bomb

La Bhagavadgītā

Composto nel primo millennio, la Bhagavadgītā è un dialogo (molto poetico, al limite dello stucchevole) tra il principe guerriero Arjuna e la divinità indù Krishna, qui il suo cocchiere sotto spoglie umane. In un lungo botta e risposta che si sviluppa in circa settecento strofe, Krishna cerca di alleviare il dilemma morale del principe mettendolo in sintonia con il disegno più ampio dell’universo: Arjuna si trova in un vicolo cieco, è in procinto di iniziare una battaglia epocale ma non riesce a combattere. Non è capace di convincersi: «Come posso uccidere i miei parenti?», si chiedeva, «Come posso imbracciare le armi contro di loro?».

Krishna cerca di convincerlo, gli spiega che il dharma, la legge universale, impone a tutti di compiere il proprio dovere anche se questo significa fare del male: «Il tuo dharma è quello di un guerriero», spiega. «È tuo dovere combattere per ciò in cui credi, anche se questo significa affrontare il dolore e la sofferenza

In un momento di pura luce, Arjuna vede che Krishna è in realtà Vishnu, la divinità suprema dell’Induismo. L’universo è immenso e senza fine: in un costante processo di distruzione e rinascita, e in un mondo così vasto e complesso, l’etica del singolo è irrilevante. Arjuna è umiliato ma convinto. Capisce che il suo dovere è combattere, anche se questo significa uccidere i propri cari.

La Bhagavadgītā di Oppenheimer

La Bhagavadgītā ebbe un impatto significativo anche su Robert Oppenheimer, il padre della bomba atomica. Il fisico definì il poema «il più bel canto filosofico in qualsiasi lingua conosciuta». Come Krishna, Oppenheimer era un leader carismatico che era disposto a prendere decisioni difficili, e il fatto che sembrasse identificarsi non con Arjuna e i suoi dilemmi morali ma con lo stesso Vishnu, ci dice molto sul suo ego.