Il Manchester City si è improvvisamente scoperto fragile, quasi umano. Prima di battere il Nottingham Forest, la squadra di Guardiola aveva infilato un pareggio e sei sconfitte in sette partite. Uno scivolone così sconcertante da sembrare irreale per una corazzata che solo pochi mesi fa alzava la Champions League. Ma nulla nasce dal caso, e le ragioni di questa crisi sono tante, forse troppe.

Pep Guardiola non ci ha abituato a vedere un Manchester City così fragile. Il City è una squadra che negli ultimi anni ha costruito un’identità fondata sul controllo totale, sul dominio di gioco e sull’efficienza assoluta. Eppure, nelle ultime sette partite qualcosa si è incrinato: sei sconfitte e un pareggio. Un crollo verticale che lascia sbigottiti tifosi e osservatori. Certo, il successo contro il Nottingham Forest ha momentaneamente tamponato la crisi, ma il problema sembra più profondo e non legato solo a una fase di forma. Il City è una delle vittime eccellenti di un calcio che si sta consumando dall’interno, schiacciato da ritmi insostenibili e da scelte strategiche che, se da un lato sembrano coraggiose, dall’altro espongono a rischi enormi.

Un calcio devastante

Il calendario calcistico è diventato una sorta di macchina infernale, incapace di fermarsi. Ogni anno si aggiungono competizioni, si espandono quelle già esistenti, si comprimono i tempi di recupero. La pandemia, anziché essere un campanello d’allarme, ha accelerato questo processo: le federazioni – FIFA e Uefa in testa – hanno trovato nuovi modi per monetizzare, e l’unica risposta alle crisi sembra essere quella di aumentare le partite. In questo scenario, le squadre sono sempre più costrette a moltiplicare i propri impegni e a competere su più fronti senza soluzioni di continuità. L’introduzione dei cinque cambi, pensata come una misura per proteggere i giocatori, ha finito per avvantaggiare solo i club con organici più profondi. E non è un caso che le proteste per il calendario asfittico siano arrivate soprattutto da giocatori e allenatori, mentre i dirigenti e le federazioni sembrano andare in tutt’altra direzione.

In mezzo a questa tempesta, la scelta del Guardiola di iniziare la stagione con soli 22 giocatori appare quasi provocatoria (tre portieri e 19 di movimento). Una rosa ridotta, che diventa ancora più esposta in caso di infortuni, cali di forma o squalifiche. Per fare un confronto, squadre come Bayern Monaco e Barcellona, paragonabili al City per ambizioni e struttura, in questa stagione hanno già schierato almeno 23 giocatori di movimento. Quattro elementi di differenza possono sembrare pochi, ma segnano una distanza enorme quando si parla di affrontare competizioni lunghe e logoranti come la nuova Champions League allargata e il Mondiale per Club a 32 squadre. E se il minimalismo della rosa è in parte una scelta per mantenere alta la competitività interna e ridurre le frustrazioni di chi gioca meno, dall’altro lato si scontra con una realtà sempre più impietosa.

Due squadre e tre quarti

Il problema, però, non riguarda solo il City. È un riflesso di un sistema che spinge i club a correre sempre più velocemente, inseguendo un equilibrio impossibile tra prestazioni e sostenibilità. Antonio Conte qualche giorno fa ha provocato l’Inter definendola una società con “due squadre e tre quarti”, una frase volutamente provocatoria ma che mette in evidenza una realtà sempre più evidente: i grandi club stanno allargando i propri organici perché non hanno altra scelta. Accumulare talenti è diventato l’unico modo per sopravvivere in un sistema che richiede sempre di più, e questa tendenza è destinata ad accelerare.

Non è un caso che proprio dall’Italia sia arrivata una delle innovazioni più significative degli ultimi anni. In vista del Mondiale per Club del 2025, la Serie A ha introdotto una terza finestra di mercato, una soluzione che potrebbe presto essere adottata anche da altre leghe. È un segnale chiaro di come il calcio stia trasformandosi in un mondo dove la sovrabbondanza non è più un’eccezione, ma una necessità. E mentre i grandi club si adattano e si rafforzano, il divario con il resto del movimento calcistico continua a crescere, creando uno squilibrio che sembra impossibile da colmare.

Le trasformazioni che stiamo vivendo vanno ben oltre l’introduzione di nuove competizioni o l’espansione di quelle esistenti. Basti pensare all’istituzionalizzazione dei cinque cambi, ai maxi-recuperi che allungano ulteriormente le partite, alle tournée estive che comprimono la preparazione precampionato. Il calcio europeo corre sempre più velocemente in una sola direzione: più partite, più mesi di attività, più pressione su giocatori e allenatori. E in questo contesto, è inevitabile che i grandi club rispondano ampliando i propri organici, accumulando talenti e trasformandosi in veri e propri conglomerati calcistici.

Una rosa infinita

Viene da chiedersi se il futuro del calcio non stia lentamente avvicinandosi al modello del football americano, dove ogni squadra può contare su oltre 50 giocatori divisi in formazioni specifiche per attacco, difesa e special teams. Nel calcio, l’idea di avere due squadre titolari complete sembra ancora lontana, ma non è così improbabile. Già oggi, alcuni club hanno abbastanza giocatori per costruire formazioni alternative di alto livello: se il trend attuale continua, questo scenario potrebbe diventare la norma. Non sarà una scelta dettata dal senso del gioco, ma dalla necessità di rispondere a un sistema che continua a esigere di più senza offrire soluzioni sostenibili.

Il caso del Manchester City, con la sua rosa ridotta e il suo recente calo, è un esempio emblematico delle contraddizioni del calcio moderno. Un sistema che da un lato richiede prestazioni sempre più elevate, dall’altro continua a spingere i suoi protagonisti verso limiti insostenibili. Forse è arrivato il momento di fermarsi e riflettere, di immaginare un futuro diverso. Ma i segnali che arrivano dal mondo del calcio non sono incoraggianti. Anzi, tutto sembra indicare che ci stiamo dirigendo verso un modello ancora più esasperato, dove i club più ricchi continueranno a dominare, e gli altri saranno costretti ad arrancare sempre più lontani.