Mercoledì 19 luglio, il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi ha concesso la grazia a Patrick Zaki, l’attivista e studente egiziano dell’Università di Bologna detenuto per quasi due anni, dal 2020 al 2021, con accuse politiche. Solo il giorno prima, martedì, Zaki era stato condannato a tre anni di carcere.
La condanna di Zaki era stata pronunciata durante la prima udienza del processo a Mansura, dopo che era stata rinviata più volte nei mesi precedenti. I suoi avvocati si erano lamentati di non aver ricevuto spiegazioni sulle accuse a suo carico. Questa condanna era stata emessa da un tribunale speciale egiziano creato durante il periodo dello stato di emergenza per la sicurezza, disposto da Al Sisi nel 2017 e durato fino al 2021.
Non è chiaro come si è giunti a questa decisione: sia l’Egitto che l’Italia hanno mantenuto un’assoluta segretezza riguardo alle motivazioni dietro la decisione, dando origine a congetture sempre più insistenti sull’intensificarsi dei rapporti diplomatici tra i due governi. Da mesi, la Presidente Meloni sostiene la necessità di cooperare con il governo autoritario di al Sisi su diverse questioni: in particolare nell’ambito dell’energia (con l’aumento delle importazioni di gas naturale dall’Egitto già concordato dal precedente governo Draghi) e nel commercio di prodotti agricoli per soddisfare la richiesta interna di grano resa carente dopo il blocco delle importazioni ucraine.
Il quadro giuridico del caso Zaki era controverso fin dall’inizio. Arrestato in Egitto nel febbraio 2020, le accuse mosse contro di lui riguardavano «diffusione di notizie false dirette a minare la pace sociale», «incitamento alla protesta sociale senza permesso», «istigazione a commettere atti di violenza e terrorismo», «gestione di un account social che indebolisce la sicurezza pubblica» e «appello al rovesciamento dello stato». Il suo arresto all’aeroporto e le successive testimonianze del suo avvocato suggerivano che avesse subito trattamenti disumani durante la detenzione, tra cui violenze fisiche e verbali. Tra l’altro, le accuse mosse contro di lui sono state giudicate infondate e pretestuose da osservatori indipendenti.
Dopo aver già scontato 22 mesi di carcere, la grazia presidenziale era stata considerata una delle pochissime possibilità rimaste a Zaki per evitare ulteriori anni di reclusione. La sua detenzione era legata a un articolo critico contro il governo egiziano pubblicato nel 2019 sul giornale libanese Daraj, in cui denunciava il trattamento della comunità cristiana copta in Egitto, comunità alla quale appartiene la sua famiglia.
All’inizio del 2020, Zaki frequentava un master in Studi di genere e delle donne all’Università di Bologna ed era tornato in Egitto per trascorrere del tempo con la sua famiglia. All’arrivo in aeroporto, però era stato arrestato e, secondo il racconto del suo avvocato, gli furono praticate torture fisiche e mentali. Successivamente, venne trasferito dalla prigione di Mansura alla prigione di Tora, al Cairo, per i prigionieri politici; qui trascorse mesi in condizioni dure e degradanti dove gli fu negata la possibilità di comunicare con l’esterno e ricevere visite dalla famiglia per molti mesi.
La grazia concessa è stata vista come una mossa politica, poiché da tempo la presidente del Consiglio Meloni insiste sulla cooperazione con il governo autoritario di Al Sisi su diverse questioni, come l’energia e il commercio di prodotti agricoli. Le visite ufficiali di ministri italiani in Egitto si sono intensificate negli ultimi tempi, suggerendo un miglioramento delle relazioni bilaterali. Durante la COP27, la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, Meloni si era incontrata con Al Sisi suscitando critiche in Italia per i continui di casi di violazioni dei diritti umani in Egitto e a seguito dell’omicidio del ricercatore italiano Giulio Regeni – perpetrato probabilmente dalle forze di sicurezza egiziane – e dell’arresto di Patrick Zaki.
Secondo alcune fonti del Ministero degli Esteri citate da alcuni giornali, la possibilità di concedere la grazia a Zaki è emersa più concretamente durante la seconda visita di Tajani in Egitto, in cui in cambio dell’impegno dell’Italia a fornire macchinari, sementi e prodotti alimentari per aiutare l’Egitto a fronteggiare la crescente crisi alimentare, al Sisi avrebbe concesso la grazia al ricercatore egiziano. Ma non è solo di grano e couscous che si è parlato durante gli incontri bilaterali al Cairo: a marzo, il ministro degli Interni Piantedosi si è incontrato col suo pari grado egiziano per discutere della questione immigrazione, dato che il 12% dei migranti e richiedenti asilo arrivati in Italia via mare nel 2023 è di origine egiziana.
Repubblica, invece, ipotizza che la concessione della grazia a Zaki potrebbe essere stata parte di uno scambio più ampio che coinvolge anche il caso di Giulio Regeni. Il processo per l’omicidio di Giulio è in stallo da mesi poiché il tribunale italiano non sa dove si trovino i quattro indagati, e senza la notifica degli atti processuali agli imputati, il processo non può procedere. Repubblica, quindi, suggerisce che il governo italiano potrebbe aver rinunciato a intervenire nella vicenda di Regeni in cambio della possibilità di risolvere la questione Zaki.
Ricostruzioni peraltro smentite dal ministro Tajani oggi su 24 Mattino: «Poi si può dire tutto ciò che si vuole, ma non c’è nessun baratto. Siamo persone serie, non facciamo baratti di questo tipo».
Per approfondire:
Le conseguenze della sfida
In questo pamphlet, esplorerò le similitudini tra l’islamismo radicale e le ideologie fasciste di Hitler e Mussolini.
Parlerò dei sogni imperialisti di dominazione mondiale, della convinzione di superiorità e del disprezzo per il resto dell’umanità, così come della violenza e dell’antisemitismo presenti in entrambi i movimenti. Inoltre, cercherò di evidenziare le tendenze naziste dell’estremismo islamico contemporaneo in quelle organizzazioni che, tramite internet e i media generalisti, oramai abbiamo imparato a conoscere i nomi: i Fratelli Musulmani, Hamas, Hezbollah, al-Qaeda e Talebani.
Rispondi