Siamo un grande e moderno progetto di cambiamento e ricostruzione del centrosinistra italiano, della politica italiana, e dell’Italia.
Siamo un partito che nasce e cresce intorno a idee e valori condivisi, e che ha come primo obiettivo l’estensione di questa condivisione. Non modificando queste idee e questi valori, non contaminandoli con compromessi e contraddizioni: ma declinandoli in un progetto collettivo di progresso e di visione del presente e del futuro. E costruendo un consenso su questa visione. Siamo il Partito Democratico, non siamo due partiti che si sono alleati. Non siamo la convivenza di obiettivi e interessi diversi, da far convivere e di cui fare commercio politico. Non vogliamo che questo progetto sia ostaggio di meccanismi e fallimenti i cui risultati hanno portato il centrosinistra italiano ai peggiori risultati degli ultimi vent’anni.
Crediamo che contesti nuovi chiedano scelte nuove, crediamo nell’assunzione di responsabilità di chi viene sconfitto, e nell’assunzione di responsabilità di chi vuole superare le sconfitte.
Noi vogliamo superarle, vogliamo cambiare l’Italia in meglio, e governarla. Siamo, siete, siamo assieme l’alternativa alla spartizione tra vecchie correnti del più ambizioso progetto politico nella storia dell’Italia repubblicana. Sappiamo di essere in tanti, finora troppo trascurati e impotenti.
Non andremo al congresso di questo partito per scegliere se consegnarlo a un leader della Margherita o a un leader dei DS. Ci andremo per darlo al leader del Partito Democratico e alle persone del Partito Democratico.
L’Italia ha bisogno di un nuovo progetto politico per uscire dallo stallo in cui si trova, per ricominciare a correre e a sperare.
L’Ulivo e il Partito Democratico sono stati pensati proprio per costruire quel progetto.
Le elezioni europee hanno confermato che oggi un fronte progressista è l’unica via per costruire un progetto politico alternativo a destre sempre più conservatrici e populiste. Un progetto basato su diritti civili, giustizia sociale e pari opportunità.
Due anni fa, al Lingotto, era stato promesso che avremmo portato a compimento un processo politico avviato nel 1996, che avremmo realizzato un nuovo centrosinistra. Ma a quelle parole non sono seguiti i fatti. La promessa non è stata mantenuta. Abbiamo perso due anni. Ora dobbiamo ripartire.
Dopo mesi vissuti pericolosamente, il PD si avvia a celebrare il suo primo congresso.
Dovrà essere un congresso vero, dovrà essere un confronto aperto, franco – senza nascondere il conflitto, se ci sarà – sulle idee. Senza dogmi, senza tabù, senza accordi tattici preventivi tra dirigenti.
Un confronto finalmente alla luce del sole, non dietro le quinte.
Un confronto tra proposte, non tra nomi, rivolto al paese.
Noi abbiamo creduto e crediamo ad un Partito nuovo, non ad un nuovo partito. Un partito dove non conti essere un ex qualcosa. Un partito dove si abolisca la pratica devastante di dividere le cariche pro quota tra correnti di partiti che non esistono più.
Noi abbiamo voluto, e vogliamo, un partito semplicemente democratico.
Non si tratta solo di discontinuità generazionale.
Si tratta di idee e linguaggio.
Si tratta di uscire da questo clima di ordinaria amministrazione che sta affossando il nostro paese.
Sono settimane, mesi, che ci appassioniamo alla ricerca di un nome, dimenticando che il PD è ad un bivio, che la gente ci guarda e non ci capisce più.
O il PD trova finalmente in mezzo alla gente le ragioni della sua esistenza o servirà solo a imbalsamare ceti dirigenti di partiti ormai disciolti. Diventerà l’ultima scialuppa di salvataggio per una dirigenza ormai sbiadita, anziché essere ciò che tanti di noi vogliono e sperano: l’inizio di un nuovo percorso, la costruzione di un nuovo progetto per l’Italia.
Noi, insieme, possiamo avviare questo nuovo percorso, costruire questo nuovo progetto.
Possiamo realizzare un partito radicato, organizzato, partecipato; un partito aperto senza essere plebiscitario, ridotto a comitato elettorale, solo leadership e gazebo.
Non crediamo, però, che l’unico modo di garantire concretezza organizzativa sia quello di affidare le scelte strategiche a gruppi dirigenti ereditati da DS e Margherita-Popolari, con qualche sapiente cooptazione.
Né crediamo che il problema sia di spostarci un po’ più al centro o un po’ più a sinistra.
Emerge nitidamente, da parte di alcuni, l’idea di un PD in sostanziale continuità con la tradizione della sinistra storica che si allei con un nuovo centro.
Si tratta di una opzione, legittima, che però non sembra incontrare affatto le attese che il PD ha sollevato e non ha ancora soddisfatto.
Il nostro PD deve essere un partito totalmente nuovo, capace di elaborare un proprio progetto, in linea con le punte più avanzate del fronte progressista mondiale e che non si laceri nella quotidiana ricerca di equilibri tattici, a scapito di una strategia credibile.
Noi vogliamo un riformismo radicale. All’Italia serve un vero new deal.
E vogliamo realizzarlo partendo da un dibattito precongressuale laico, aperto, non schematico.
Dobbiamo costruire un progetto che parta dalla centralità della persona, dai suoi diritti e doveri, che punti sulla forza delle persone, poiché è evidente che il cambiamento sta già avvenendo, senza aspettare la politica o le grandi riforme.
Il nostro progetto deve partire dalla responsabilità delle persone, riconoscendo che è sulle gambe delle persone e non attraverso le leggi che i cambiamenti veri viaggiano.
Un progetto aperto che parta da quello che la società italiana è diventata e indichi quello che la società potrebbe diventare.
L’Italia è una società complessa, che non può essere rinchiusa in programmi sistemici ma va immaginata come un racconto in evoluzione.
Una società che deve accrescere la sua apertura e la sua attrazione: apertura a nuovi modelli culturali, a investitori e tecnologie, a talenti e turisti.
Una società che ha un fortissimo bisogno di nuove storie di successo.
Dobbiamo rendere l’Italia più moderna, efficiente, ricca.
Dobbiamo impegnarci in modo continuo per l’affermazione dei nuovi diritti civili, a cominciare da donne, famiglie e immigrati; ridare all’Italia un senso civico ormai scomparso; lottare nei fatti contro tutte le discriminazioni.
Vogliamo declinare nettamente, senza compromessi, il principio di laicità, consapevoli che le Chiese si rispettano proprio in una cornice di autonomia reciproca, pena l’affermarsi di opzioni strettamente confessionali.
Dobbiamo affrontare il tema della sicurezza e della integrazione, senza inseguire le paure alimentate da una destra rinunciataria, evitando proclami terzomondismi e mettendo in primo piano le legittime esigenze di sicurezza quotidiana di ogni cittadino.
Riformiamo le istituzioni, per arrivare ad un sistema di enti locali semplificato, meno costoso e più adeguato alle nuove esigenze di sviluppo territoriale.
Scelto cioè dai cittadini e dai territori anziché essere imposto dall’alto e tutelato in modo anacronistico dalla Costituzione. Enti la cui sopravvivenza dovrà unicamente dipendere dalla loro capacità di consegnare valore e servizi ai cittadini,
C’è un’indissolubile rapporto tra democrazia e mercato: è allora necessario che quest’ultimo sia sostenuto e aiutato in un quadro di regole che garantiscano efficienza e trasparenza, a tutela di tutti i cittadini, siano essi imprenditori, lavoratori o consumatori.
Vogliamo sottrarci alle ricette paternalistiche proprie di un certo corporativismo sindacale, investire sul riconoscimento dei diritti sociali di cittadinanza, non su quelli ereditati dalle contrapposizioni classiste del ‘900.
Vogliamo ricostruire la mobilità sociale, realizzare una società del merito diffuso con una vera parità nelle situazioni di partenza.
Né possiamo limitarci a denunciare l’insostenibile evasione fiscale, ma dobbiamo anche avere il coraggio di evidenziare l’intollerabilità e irrazionalità di un sistema fiscale aggressivo, barocco, pesante, soprattutto a fronte di una spesa pubblica inefficiente, orientata a sostenere sprechi più che a garantire uno stato sociale proprio di un sistema economico moderno.
Impegniamoci per una vera democrazia economica, un’equa distribuzione del reddito, un welfare totalmente rinnovato e adattato ad un ciclo di vita ormai cambiato, un salario minimo garantito, nuovi strumenti di formazione.
Elaboriamo una politica economica che scommetta sul futuro, sulla ricerca, sulla crescita delle imprese in un mondo sempre più competitivo.
Che affronti questioni come le pensioni, l’ambiente o il turismo pensando alle nuove generazioni, affrontando i nodi imposti dal cambiamento climatico, valorizzando il nostro patrimonio naturale e culturale.
Non possiamo neppure gridare al colpo di stato ogni volta che si discute di riforma del sistema giudiziario – il più condannato dalle istituzioni internazionali e comunitarie – ma vogliamo farci portatori di una proposta che responsabilizzi finalmente il giudice-funzionario dello stato e dia certezze al cittadino-utente del servizio giustizia.
Vogliamo infine un partito profondamente europeo, perché l‘Europa è la dimensione in cui inserire tutte le nostre azioni politiche. Un’Europa che superi divisioni partitiche ormai logore – tra socialisti, liberali, democristiani e conservatori, prodotto della storia del novecento – sviluppando un nuovo pensiero progressista, europeista e ambientalista; che respinga i tentativi di tornare al passato, alla storia più buia del nostro continente, alle piccole patrie; che costruisca uno spazio democratico vero, concreto e partecipato, e che sia veramente capace di affrontare le nuove sfide globali.
Molto altro ancora ci sarebbe da dire.
Il nostro racconto dell’Italia, incompleto e che necessita di molti altri contributi, si rivolge a quanti hanno creduto e credono nel PD: usciamo finalmente dal complesso dell’accerchiamento e apriamoci alla società, accogliendone la freschezza, il dinamismo, lo spirito critico.
Compiamo un atto di coraggio.
Sandro Gozi, responsabile relazioni politiche e comunicazione del comitato elettorale nazionale di Ignazio Marino per la segreteria del PD e coordinatore regionale della mozione marino per l’Emilia Romagna.
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