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Ci siamo: domani sapremo chi sarà il prossimo presidente degli Stati Uniti. L’incertezza però rimarrà fino allo spoglio delle schede: Harris e Trump sono testa a testa nei sondaggi, ma l’elettorato resta fermo sulle proprie posizioni, sempre più diviso e sempre meno disposto a cambiare idea. Le divisioni appaiono sempre più profonde e difficili da superare. Nel tentativo di comprendere le ragioni alla base del voto, si naviga a vista: le motivazioni degli americani sono diverse e contraddittorie, rendendo complesso prevedere la logica che guiderà la scelta finale di ciascun elettore.

L'articolo che state per leggere è una sintetica analisi socio-politica in cui faccio del mio meglio per spiegare l'origine di queste incertezze. L'analisi è divisa in due parti: la prima, Il diritto di fare la scelta sbagliata, si legge qui.

Quando nel 2016 Donald Trump vinse contro Hillary Clinton, un po’ tutti rimanemmo scioccati. Eppure divenne il 45° presidente degli Stati Uniti ribaltando ogni pronostico in quella che fu definita la campagna elettorale più polarizzata di sempre. Oggi possiamo affermare con certezza che la polarizzazione non è più solo una fase passeggera, ma il contesto in cui tutto ruota attorno alla politica americana, specialmente sotto elezioni.

Ma in fondo è proprio questa la Democrazia: pensarla in maniera diversa e fare in modo che le proprie idee prendano il sopravvento su quelle degli avversari. Per far propendere verso un’idea rispetto all’altra, in Democrazia esiste un solo modo: il voto. Se otto anni fa milioni di americani scelsero di votare Trump, avevano i loro motivi. È stata una loro scelta, e cos’è la democrazia se non il dovere di fare la scelta ritenuta più giusta? 

Dal 2016, con Trump alla Casa Bianca, ha iniziato a diventare un pensiero diffuso l’idea che la democrazia americana potesse essere a rischio. Da allora, la politica è diventata così pesante che molti americani si sono sentiti logorati, al limite del malessere fisico e mentale. Uno studio ha rivelato che circa il 40% della popolazione adulta americana vede la politica come una fonte di forte stress; il 5% ha addirittura avuto pensieri suicidi legati alla situazione politica di quel momento.

L’elezione di Biden avrebbe dovuto riportare un po’ di calma. Sembrava l’uomo giusto per abbassare i toni e dare un senso di stabilità; molti speravano che avrebbe alleviato le tensioni e che gli americani avrebbero smesso di vivere la politica come un conflitto esistenziale. Non è accaduto e la polarizzazione è più viva che mai.

I conflitti non spariscono

L’immagine di un’unità nazionale non è mai stata davvero solida

La studiosa Chantal Mouffe ha sottolineato che esistono divisioni profonde per cui non può esserci una vera soluzione; ci sono antagonismi che non si eliminano, anzi, spesso forzare una convergenza lì dove non esiste peggiora solo le tensioni. In altre parole, conflitti così radicati non spariscono dall’oggi al domani.

Oggi l’America potrebbe aver bisogno di accettare una serie di contrapposizioni reali che, pur scomode, sembrano permanenti. Quell’immagine di un’unità nazionale non è mai stata davvero solida: basta ricordare gli anni ’60, segnati da violenti conflitti razziali, attentati politici e crisi interne. Ora, con la società che ha subìto trasformazioni culturali e sociali profonde, tornare a una vecchia normalità sembra utopia.

Le divisioni sono reali, sono profonde e non possono dissolversi dopo le elezioni: 71 milioni di americani hanno votato per Trump e 80 milioni per Biden, e tutti dovranno convivere in un paese diviso. Forse, anziché umiliare chi la pensa diversamente, sarebbe più utile accettare queste differenze come una nuova normalità, affrontandole con un po’ più di pazienza e saggezza.

Il diritto di fare la scelta giusta

Quando le persone si ritrovano in gruppi fortemente schierati, capita che appoggino idee o candidati moralmente discutibili, ma come individui restano quelli di sempre: vicini, amici e colleghi. Il beneficio del dubbio dovrebbe essere il pensiero primario e termini come “fascista” o “suprematista bianco” andrebbero riservati alla ristrettissima minoranza per cui davvero sono appropriati.

La polarizzazione è la nuova normalità

Mantenere il dialogo aperto è molto più facile a parole che nella pratica

È vero, dire di mantenere il dialogo aperto è molto più facile a parole che nella pratica. Dove decidere di fissare i propri limiti è una scelta personale, ma l’obiettivo non è per forza trovare un terreno comune – su temi come razza, immigrazione o aborto le distanze possono essere abissali – ma arrivare a capire da dove provengono queste opinioni e quali esperienze le hanno plasmate. Le idee e le opinioni non nascono dal nulla: ognuno ha un percorso e convinzioni di fondo che, naturalmente, confluiscono in visioni politiche diverse.

Queste divergenze profonde ci ricordano che la democrazia non si basa sul raggiungimento di un accordo totale o sull’eliminazione dei conflitti. È piuttosto un metodo per gestire le differenze in modo pacifico e accettare che l’altra parte possa vincere. Dovremmo persino augurarci che lo faccia: senza alternanza, si finirebbe in un regime a partito unico, e una democrazia senza alternanza al potere non è più democrazia.

La polarizzazione come risorsa

Questa apparente contraddizione ci porta a una verità più profonda sulla politica americana di questi anni. La polarizzazione non è un malessere destinato a passare con le prossime elezioni o con la politica “dalla parte giusta” (ne parleremo). È radicata nella democrazia: è quanto di più naturale ci possa essere in un paese di oltre 330 milioni di persone con background e valori profondamente diversi. Prima si riconosce questa realtà, prima si metteranno da parte le schermaglie per concentrarsi sulle vere differenze che li separano. Chissà, magari un giorno vedremo la polarizzazione come una risorsa consapevole e responsabile.

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