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ROAD TO USA 2024
Nella notte tra il 5 e il 6 novembre seguiremo in diretta le elezioni presidenziali negli Stati Uniti. Partiremo intorno alle 23 e continueremo tutta la notte per raccontare e spiegare quello che accadrà, con aggiornamenti sui risultati, le proiezioni e i commenti dell’Election Day più importante del pianeta.
Ci siamo: tra poche ore sapremo chi sarà il prossimo presidente degli Stati Uniti. L’incertezza però rimarrà fino allo spoglio delle schede: Harris e Trump sono testa a testa nei sondaggi, ma l’elettorato resta fermo sulle proprie posizioni, sempre più diviso e sempre meno disposto a cambiare idea. Le divisioni appaiono sempre più profonde e difficili da superare. Nel tentativo di comprendere le ragioni alla base del voto, si naviga a vista: le motivazioni degli americani sono diverse e contraddittorie, rendendo complesso prevedere la logica che guiderà la scelta finale di ciascun elettore.
L'articolo che state per leggere è una sintetica analisi socio-politica in cui faccio del mio meglio per spiegare l'origine di queste incertezze. L'analisi è divisa in due parti: la seconda, Il dovere di fare la scelta giusta, si legge qui.
Con l’avvio della campagna elettorale del 2024, Joe Biden aveva dato il via a un anno che si preannunciava particolarmente acceso. “Chi siamo?“, aveva chiesto a gennaio ponendo una domanda interessante ma anche piuttosto strana.
Fino a pochi anni fa, le elezioni negli Stati Uniti ruotavano più intorno a questioni politiche che a questioni esistenziali come il destino della democrazia o il significato stesso dell’America. Prima del 2010, i temi di scontro tra democratici e repubblicani riguardavano argomenti come la riforma sanitaria o le aliquote fiscali. Dibattiti importanti, certo, ma che non mettevano a rischio la tenuta della repubblica. Gli americani, senza saperlo, vivevano in tempi meno tesi.
La polarizzazione è la nuova normalità
Troppi americani vedono chi sta dall’altra parte come nemici e non più come semplici avversari politici
La polarizzazione non è più solo una fase passeggera, ma il contesto in cui tutto si svolge: è la nuova normalità. Le persone hanno visioni completamente diverse su cosa sia giusto, vero e importante. I dibattiti non riguardano più solo politiche su cui si può trovare un compromesso, ma questioni che sembrano, o sono percepite, come esistenziali. Non c’è più spazio per un semplice disaccordo.
In un paese vasto e diversificato come gli Stati Uniti, è normale che ci siano differenze, anche profonde. Il problema nasce quando il disaccordo si trasforma in disgusto, e la politica diventa una sorta di crociata dove l’obiettivo non è discutere ma annientare l’avversario. Troppi americani vedono chi sta dall’altra parte come nemici e non più come semplici avversari politici.
Man mano che ci avviciniamo al 5 novembre, il messaggio è chiaro. La posta in gioco non potrebbe essere più alta, non è solo una semplice elezione: è la democrazia stessa che sembra essere in bilico. Non sono solo i politici a dirlo, anche gli elettori condividono questo timore. In un sondaggio della NBC, l’80% di democratici e repubblicani hanno dichiarato che il partito opposto rappresenta una minaccia diretta alla sopravvivenza dell’America. Con queste convinzioni in testa, diventa sempre più difficile accettare i risultati elettorali, soprattutto quando il proprio candidato perde. E statene certi: prima o poi, perde.
Anche perdere è diventato più difficile
La maggioranza dei repubblicani crede ancora che le elezioni del 2020 siano state rubate. Alcuni analisti suggeriscono che questi risultati vadano presi con cautela e affermano che molti elettori potrebbero aver trollato i sondaggisti, sostenendo che le elezioni siano state truccate solo per dare un segnale anti-establishment. Cionondimeno, anche questa lettura più ottimista conferma un crescente disprezzo per le istituzioni.
Non sono solo i repubblicani a dubitare della legittimità elettorale. Anche alcuni democratici, come Hillary Clinton, hanno insinuato che le elezioni del 2016 siano state “rubate“, definendo Trump un “presidente illegittimo“. Nel 2016, un sondaggio post-elettorale ha rilevato che il 52% dei democratici riteneva probabile che la Russia avesse manipolato i voti. Sebbene non ci sia paragone con l’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021, è comunque vero che la resistenza dei democratici ad accettare la vittoria di Trump ha contribuito a una spirale di radicalizzazione, dove ogni partito reagisce ai peggiori eccessi dell’altro.
La polarizzazione, purtroppo, potrebbe peggiorare. I giovani americani, in particolare, sembrano meno disposti a tollerare opinioni diverse dalle proprie. Un sondaggio del 2021 tra studenti universitari ha mostrato che il 30% dei democratici non lavorerebbe mai per qualcuno che ha votato per il candidato opposto, e il 71% ha dichiarato che non uscirebbe con qualcuno che ha sostenuto l’altro partito.
Le cause di queste divisioni sono profonde e difficili da invertire. Derivano da cambiamenti strutturali nella società americana, come l’aumento della secolarizzazione e il riallineamento politico lungo linee educative più che di classe. Anche i partiti hanno cambiato approccio. Il GOP ha ammorbidito le sue posizioni più rigide su temi economici – come la privatizzazione dell’assistenza sociale – ma questo ha portato a una polarizzazione su temi ancora più sovversivi come cultura, religione e razza.
Sentirsi dalla parte giusta della storia
Definiamo chi siamo in base a chi ci opponiamo
La vera radice della polarizzazione, però, è nella natura umana. Pensare che la posta in gioco sia così alta è più eccitante di una botta di adrenalina nel cuore. Se credi davvero che l’altra parte metta a rischio il tuo modo di vivere, sentirsi “dalla parte giusta della storia” diventa più esaltante di qualsiasi altra sensazione. Definiamo chi siamo in base a chi ci opponiamo. È come se vivessimo tempi storici più intensi, più reali. E forse, proprio per questo, è così difficile scendere a compromessi: “ci sentiamo davvero vivi quando tutto intorno a noi sembra esplodere“, scriveva Kevin Rozario.
La polarizzazione nella politica, per quanto possa sembrare negativa, non è sempre un male. Le differenze profonde sono il cuore pulsante di una democrazia sana, che si basa proprio sulla competizione accesa tra idee e candidati. Le questioni più grandi della vita e della politica ci portano inevitabilmente a scontri di opinione, perché toccano le nostre convinzioni morali e filosofiche più radicate.
Molti pensano che l’alto livello di polarizzazione di oggi sia un’eccezione e che si tornerà presto alla normalità, magari quando Trump uscirà di scena. Ma potrebbe essere che l’eccezione sia già passata, ad esempio nel periodo del secondo dopoguerra quando la minaccia del comunismo creava l’illusione di un consenso più ampio di quanto ci fosse davvero.
Il diritto di fare la scelta sbagliata
Negli ultimi vent’anni, la rapida secolarizzazione – con il calo senza precedenti dei fedeli nelle chiese americane – ha aggiunto ulteriore instabilità sociale. Con la scomparsa di una cultura cristiana condivisa e la fine della Guerra Fredda, gli americani si sono resi conto di non avere più gli stessi ideali a cui aggrapparsi, né un nemico comune contro cui unirsi. L’aspetto positivo è che questo ha dato spazio a una maggiore diversità razziale e religiosa come non si era mai vista dai movimenti politici degli anni ’60.
In fondo, tutta la politica ha a che fare con l’identità. E oggi, in un’epoca di cambiamenti demografici rapidi, le identità – e il tribalismo che ne deriva – contano più che mai. Numerosi studi dimostrano quanto siano forti le lealtà di gruppo, che siano etniche, religiose o politiche. Il fattore più importante nei giudizi degli elettori è il loro attaccamento sociale e psicologico ai gruppi.
Forse, questo è semplicemente ciò che sono gli Stati Uniti. O ciò che sono diventati. Se il tribalismo dell’era Trump, e del post-Trump, è la nuova normalità, allora non se ne andrà con queste elezioni, né con le prossime. Le divisioni profonde sono reali e sono qui per restare. Certo, la posta in gioco è alta. Ma non tutto è in gioco. In una democrazia, per quanto imperfetta, nessuna sconfitta è per sempre e nessuna vittoria è definitiva. Se molti americani sceglieranno di votare Trump, avranno i loro motivi. È una loro scelta, e cos’è la democrazia se non il diritto anche di fare la scelta sbagliata? Non è certo la fine del mondo e mai lo sarà. Anche se questa sembra essere l’elezione più importante di tutte, la prossima lo sarà di più e non sarà di certo l’ultima.
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