C’è davvero tutta la tragedia del nostro tempo in quella riga della lettera di Giorgio Napolitano, la tragedia che lega Prato all’Ilva, la ThyssenKrupp alla Terra dei fuochi:
Far emergere le realtà produttive da una condizione di insostenibile illegalità e sfruttamento senza porle irrimediabilmente in crisi
La legge e i diritti sì, ma nella modica quantità necessaria per reggere alla competizione selvaggia, a qualsiasi livello, dalle onnipotenti multinazionali al più scalcinato laboratorio di clandestini. Perché è vero – come dice splendidamente Toni Servillo di fronte alle pesche puzzolenti di Gomorra – che scaricare i fanghi tossici nella terra di tutti serve alle aziende del nord per contenere i costi. Così come servono i loculi premortuari di Prato, o i parchi minerali di Taranto. Altrimenti si va fuori mercato, si va irrimediabilmente in crisi. Si perde quel lavoro indispensabile anche se assomiglia alla schiavitù o se ti mangia la salute.
Ce la raccontano così. Una equazione in cui la variabile indipendente è il profitto di pochissimi, e il lavoro e l’illegalità e lo sfruttamento di tutti devono trovare l’equilibrio residuo. E noi ci stiamo: serve per la crescita, ci dicono sottovoce. Col rischio poi che qualcuno da fuori ci bacchetta.
Trovare il cadavere che scorre lungo il fiume, è una specie di hobby che richiede molta pazienza ma che regala molte soddisfazioni. I cadaveri in questione sono due: il capo del governo, Enrico Letta, e il ministro del Tesoro Fabrizio Saccomanni. Il primo, Letta, perché dopo mesi che si fa purgare da Bruxelles, si adombra proprio ora che Rehn dice finalmente una sacrosanta verità. E cioè che i nostri conti non garantiscono il rispetto di quelle folli regole che – approvando six pack e pareggio di bilancio in Costituzione – ci siamo dati quando non potevamo permettercelo. Saccomanni, calmino sino all’inverosimile, prova invece a mediare, pungolando anch’egli: «Non c’e nulla di nuovo in quello che ha detto. Dalla Ue non è arrivata nessuna richiesta di misure correttive». Entrambi col ditino lungo verso Olli Rehn, redarguendolo, perché il rischio è che vinca il populismo. Il rischio, eh!
L’unica cosa che stona nel clam clam mediatico è che in tutti i comunicati – sia che provengano dal Quirinale che da Palazzo Chigi – è scomparsa la frase “ce lo chiede l’Europa“. L’hanno sostituita con “glielo chiedo all’Europa“.
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