Fateci caso: ogni volta che viene eletto un nuovo segretario del PD, si ritorna a parlare di riforma del lavoro o di un piano del lavoro che eliminerà tutte le riforme finora approvate in Parlamento. Nemmeno stavolta, con la nomina di Matteo Renzi, l’asse segretario-lavoro si è sgretolata. Solo che questo Renzi ha agito di contropiede. Invece di attendere gli eventi ha pensato bene di anticiparli lanciando un paio di slogan per sondare il terreno: “Piano nazionale per il lavoro”, “Contratto unico a tempo indeterminato”, “Sussidio di disoccupazione universale”. E poi, proprio per non farci mancare nulla, un po’ di inglese qua e là: flexsecurity e Jobs Act.
Più per dovere, Renzi ha proposto queste frasette ad un’opinione pubblica logorata dall’ossessione del lavoro e dall’impoverimento economico in cui viviamo. Impoverimento che crea malumori e genera sconforto e insicurezza. Il messaggio del segretario PD è diretto principalmente alle forze politiche e sociali, un modo fine e intelligente per raccogliere consensi e dissensi prima di lanciare un vero e proprio progetto per il lavoro, che difatti è stato rimandato a gennaio se non dopo.
Molto probabilmente Renzi non ha ancora nulla sul piatto, o se ha qualcosa è talmente irrisorio che non vale nemmeno la pena annunciarlo all’opinione pubblica. Ciò non significa però che le fantomatiche certezze attorno al Moloch del Jobs Act siano solo un sasso lanciato nello stagno: Confindustria che santifica l’eliminazione dell’art. 18; Maurizio Landini che invece lo invita a reintrodurlo; Cesare Damiano, oggi strenuo difensore dei precari, pochi mesi fa è stato il relatore al Senato della Riforma Fornero e che con Prodi premier ha istituzionalizzato le 46 forme di lavoro atipico presenti nella riforma del lavoro che ancora oggi sottoscriviamo. E poi, ultimo ma non ultimo, le proteste di Brunetta che lamenta la copiatura del programma Pdl. Insomma, ce n’è per tutti i gusti.
E allora, viste le varie anime dentro ad una possibile, futura, nuova riforma del lavoro, non resta che aspettare il primo passo di Renzi e se possibile, nel mio piccolissimo, dare qualche utile suggerimento per non rendere il suo smodato egotismo mediatore, prevaricatore oltre ogni limite.
Dalla Nuvola del lavoro sul Corriere della Sera del 22 dicembre, Maurizio Ferrera invitava Renzi a fare un bagno di pragmatico realismo. Ecco, io partirei da qui: da una politica fatta di piccoli passi concreti andando contro quelle proposte provocatorie e di rottura, altrimenti si finisce bruciati dal corroborante immobilismo italiano. Non prenderei nemmeno come importanti le proposte annunciate dal segretario perché sembrano prese pari pari da un libro del 2008 di Boeri e Garibaldi – Un nuovo contratto per tutti – cioè quando la crisi era solo agli albori e quelle proposte stavano ancora in piedi. Oggi no. O forse sì, ma solo nel caso in cui la riforma si prenda seriamente per i capelli e si cambi concettualmente punto di vista.
Pertanto, nel sesto anno di recessione globale, la domanda da porsi è: ma di quale contratto, e di quale lavoro stiamo parlando? La risposta da dare al 40 per cento di giovani disoccupati, ai quasi quattro milioni di Neet, ai disoccupati cronici e agli esodati è solo una: andare fino in fondo. Andare fino in fondo significa, realisticamente, creare un welfare universalistico per combattere la povertà e l’esclusione sociale. Significa prevedere un sussidio di disoccupazione universale e un reddito minimo garantito in modo che le persone si sentano tutelate e sostenute dalle istituzioni, e non più sotto il ricatto del lavoro gratuito o sottopagato. Ci sono tre proposte in Parlamento sul reddito minimo, le hanno depositate PD, Sel e M5S. Si accorpino rendendole migliori e si proceda in tal senso. La strada è spianata, tutt’al più bisognerebbe convincere quei buontemponi pentastellati che la loro proposta è valida quindi si potrebbe procedere di concerto.
Infine, si potrebbero programmare degli interventi mirati per rilanciare quelle forme lavorative che non hanno basi universali come il salario orario, la malattia o la maternità. Prima che sia troppo tardi oggi c’è anche bisogno di un New Deal di politiche culturali, per l’ambiente, per le nuove tecnologie, per la cura e la tutela delle persone. Tutte cose che si potrebbero fare senza slogan e con poche parole. Ma subito!
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