Stamattina il Corrierone usciva in prima con un titolo che era uno spettacolo: “Renzi: sono pronto a fare il premier“. Il lettore fesso, il sottoscritto, va a leggersi l’articolo sperando nella presa di posizione di qualcuno che non sia i soliti Bersani e Grillo. Leggi leggi e alla fine del secondo paragrafo trovi questo virgolettato:
«Vedo che alcuni giornalisti scrivono che io potrei fare il premier, che potrei fare il segretario. Tutte illazioni. E cavolate. La realtà dei fatti è questa: io non mi farò mai cooptare dal partito. Manco morto! Nessuno dei vertici potrà mai dire: “Il nostro prossimo candidato premier sarà Renzi”. Perché a quel punto io dico: no, grazie. Altra cosa è se il Partito democratico va alle consultazioni da Giorgio Napolitano con una rosa dei nomi. Cioè, senza dire che la richiesta è quella di Bersani secca. Se per riuscire a superare lo stallo che si è creato e che, certamente, non fa bene al Paese, il Pd si presentasse con più nomi di possibili candidati alla presidenza del Consiglio e se fra quei nomi ci fosse anche il mio, allora io ci penserei seriamente».
Ora, che la Meli sia una grande professionista è fuor di dubbio. Però questa strana mania giornalistica di bypassare i “no comment” dei politici con articoli – spesso solo titoli, come in oggetto – che costringono il personaggio citato a confermare tacendo o smentire con un comunicato, è, secondo me, una delle cose peggiori che la professione possa fare.
Il pezzo della Meli ha, infatti, portato a ciò che si prefiggeva. Pochi minuti dopo Renzi su Twitter manda il seguente messaggio
Ciò che volevo per l’Italia l’ho detto per le primarie. Ho perso. Adesso faccio il sindaco. Non ci possiamo permettere neanche i rimpianti.
— Matteo Renzi (@matteorenzi) 01 marzo 2013
Purtroppo, però, Maria Teresa Meli non ha fatto solo quell’errore. Il più pacchiano è all’inizio:
Il futuro Gianni Letta di Pier Luigi Bersani, ossia Vasco Errani, ha aiutato il segretario del Pd a fare i calcoli. Alla fine i due si sono guardati negli occhi e si sono detti. «È fatta». Il segretario del Pd e il suo braccio destro sono convinti: al Senato, oltre ai parlamentari che fanno riferimento a Mario Monti, c’è un gruppo di grillini pronti a sostenere il governo presieduto dal leader del Partito democratico. Li hanno contattati, ci hanno parlato a lungo, il lavoro di «scouting» è andato in porto e ora possono tirare un sospirone di sollievo. A questo punto, dicono inorgogliti i bersaniani, il governo guidato dal segretario del Pd è praticamente fatto.
Ma di che stiamo parlando? Il quadro si tinge ancor più di rosa (perdonatemi, ma è di questo che stiamo parlando) quando le allusioni fanno sì che l’articolo genera un loop di commenti – pro e contro poco importa – che a sua volta generano un continuo botta e risposta tra gli accoliti dei principali attori di questa prima parte di contesa post elettorale.
Non so francamente quanto sia voluta la stravagante lettura del Corriere, ma Grillo – che non si lascia intervistare dai giornali italiani ma son sicuro che li legge tutti – coglie al volo l’occasione con un post dei suoi. Scrive su Twitter
Questi hanno la faccia come il culo. I vertici del pdmenoelle si stanno comportando come dei volgari adescatori: goo.gl/qm0sV
— Beppe Grillo (@beppe_grillo) 01 marzo 2013
E ancora
Il M5S, i suoi eletti, i suoi attivisti, i suoi elettori non sono in vendita. Bersani é fuori dalla storia e non se ne rende conto
— Beppe Grillo (@beppe_grillo) 01 marzo 2013
In tutto questo pandemonio Bersani non c’entra nulla. Stavolta, anche se tirato per la giacchetta, il segretario Pd non risponde come ha fatto ieri: si lascia intervistare da Giannini e scopre le carte (il neretto è mio)
«Voglio ribaltare lo schema. Mercoledì prossimo in direzione mi assumerò la responsabilità di formalizzare la proposta di un governo di cambiamento, che segnali in modo netto il cambio di fase con sette-otto punti programmatici. Il primo tema è l’Europa. Voglio che il prossimo governo ponga una questione dirimente, di cui ho parlato al telefono con Hollande l’altroieri: l’austerità da sola ci porta al disastro. In sede europea, tutti devono mettersi in testa che il rientro dal debito e dal deficit è un tema che va spostato nel medio periodo: ora c’è un’altra urgenza assoluta, il lavoro. Il secondo tema è quello sociale. Il disagio è troppo forte, i comuni devono poter aprire sportelli di sostegno, bisogna sbloccare subito i pagamenti della PA alle imprese e introdurre sistemi universalistici negli ammortizzatori sociali. Il terzo tema è la democrazia. Il nuovo governo, immediatamente, deve dimezzare il numero dei parlamentari, abbattere gli stipendi al livello di quelli dei sindaci, varare leggi che regolino la vita dei partiti e non solo per i finanziamenti, che inaspriscano drasticamente le norme anti-corruzione e che regolino finalmente i conflitti di interessi. Ciascuno di questi punti si tradurrà in un specifico disegno di legge, che giorno dopo giorno farò pubblicare in rete già da giovedì mattina. Questo mi offrirà la gradevole opportunità di rilanciare anche qualche vecchia idea, come la creazione di un ministero per lo Sviluppo Sostenibile, visto che l’economia verde deve essere il cuore del nuovo governo che ho in testa».
Questo è Pier Luigi Bersani, l’uomo che vincendo le elezioni dovrebbe guidare il paese. Lo stesso uomo che in campagna elettorale ha ripetutamente dichiarato le stesse cose dette a Repubblica, ma per quel problema intrinseco al Pd che sia chiama comunicazione, all’elettore è arrivato solo il giaguaro. Grillo invece è un maestro della comunicazione (lo ha notato perfino l’altro grande stratega, Berlusconi, che non fa l’errore di rispondere a tono ai colpi micidiali del leader di M5S), non si pone il problema se il Corriere scrive vaccate o dice la verità: a lui basta che sia nero su bianco, il resto va da sè.
Renzi l’ha capito, e nel pomeriggio invia una newsletter in cui le parole più significative sono queste: «Trovo sbagliato e dannoso inseguire Beppe Grillo sul suo terreno [fusion_builder_container hundred_percent=”yes” overflow=”visible”][fusion_builder_row][fusion_builder_column type=”1_1″ background_position=”left top” background_color=”” border_size=”” border_color=”” border_style=”solid” spacing=”yes” background_image=”” background_repeat=”no-repeat” padding=”” margin_top=”0px” margin_bottom=”0px” class=”” id=”” animation_type=”” animation_speed=”0.3″ animation_direction=”left” hide_on_mobile=”no” center_content=”no” min_height=”none”][…] Grillo non va rincorso, va sfidato». Ma il sindaco di Firenze tende anche a smorzare tutte le fantasiose ipotesi di queste ore (anche le nostre?):
Io quello che avevo da dire l’ho detto alle primarie. Non ce l’ho fatta, mi sono preso la mia responsabilità. Ho praticato la lealtà in tutta la campagna elettorale: non perché mi convenisse, ma perché è giusto rispettare i risultati, sempre. Perché credo che lo stile abbia un ruolo persino in politica. Oggi non dirò: “Ma io ve l’avevo detto”. Quelli che sono stati zitti durante le primarie e che poi ci spiegano che loro avevano capito tutto sono insopportabili: passi saltare sul carro del vincitore, ma adesso affollare quello del perdente mi suona ridicolo. Io ho combattuto Bersani a viso aperto quando non lo faceva nessuno, guardandolo negli occhi. Non lo pugnalo alle spalle, oggi: chiaro? Nello zoo del Pd ci sono già troppi tacchini sui tetti e troppi giaguari da smacchiare per permettersi gli sciacalli del giorno dopo.
La cosa che poi fa davvero ridere è che lo scoop il Corrierone ce l’aveva davvero: «Se Renzi fosse ritenuto decisivo per promuovere un approccio diverso saremmo tutti pronti a lavorare per questa soluzione. Mi appello alla responsabilità dei renziani. Che senso ha accanirsi con Bersani, come fosse l’unico responsabile della sconfitta?». Alessandra Moretti è l’unico dirigente Democratico a dire che il Pd è uscito sconfitto da queste elezioni. Vuoi mettere?
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