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All’improvviso si è riaperto il dibattito su quanto sia sbagliato cambiare la nostra sacrissima Costituzione. Si parla di quanto sia violento procedere a colpi di grimaldello nei confronti dell’articolo 138, uno dei cinque che formano il titolo sesto, quello delle garanzie costituzionali.

Camera e Senato vanno avanti con la riforma, passata di pochissimo a Palazzo Madama, evitando de facto il referendum costituzionale se “approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti” come dice lo stesso articolo. A questo punto manca solo un passaggio – l’approvazione alla Camera – prima che il Parlamento dia il via libera alle procedure di riforma. Sel, M5S (“violentata la Costituzione!“) e alcuni indefinibili del Pdl hanno gridato all’imbroglio.

Ora, che questo infido e ignobile equilibrio politico che sta consentendo l’inimmaginabile possa disintegrarsi è talmente acclarato che se nevicasse nel Sahara non mi stupirebbe più di tanto; ma difendere una regola della Costituzione – perché di questo si tratta – raccontando la balla che la Carta è inviolabile (o, brr, violentata) è una panzana di dimensioni cosmiche.

L’articolo 138 dice che il procedimento di revisione costituzionale e di formazione di leggi costituzionali deve avvenire con due votazioni per ogni aula, ma a condizione che non venga eliminato il carattere rigido della Costituzione. La riforma che è passata al Senato prevede semplicemente uno snellimento delle procedure di votazione senza eliminare la rigidità della Carta: quarantadue parlamentari, ventuno della Camera e ventuno del Senato, faranno parte di una Commissione speciale che formulerà proposte al Parlamento per cambiare le varie leggi costituzionali senza alterarne il passaggio successivo; l’attuale limite di tre mesi tra un’approvazione e l’altra verrà accorciato a 30 giorni. Tutto qua. Eppure non passa giorno senza che arrivino sproni e incitamenti a non toccare la Costituzione da chicchessia, quasi che si temesse che prima o poi un raggio di luce scenda ad illuminare gli scassinatori.

Lo scopo evidente è quello di accelerare l’iter per le riforme costituzionali. Infatti, i tempi per portare a compimento una legge di rango costituzionale o una modifica della Costituzione sono, in teoria, di 7-8 mesi, ma in pratica non sono mai inferiori a 12 mesi (spesso nel caso in cui le camere non siano in accordo sul testo da votare). La riforma vuole cambiare i tempi di approvazione perché come conosciamo bene i nostri governi godono di vita breve, e con essi anche le maggioranze parlamentari. Iniziare un processo di riforma costituzionale con una coalizione di maggioranza significa molte volte non avere il tempo necessario per portarla a compimento: non capita raramente che, durante l’iter obbligato dall’articolo 138, cambino le carte politiche, le maggioranze, a volte cade il governo, a volte qualche ribaltone o, semplicemente, si sciolgono le Camere. La diretta conseguenza è che anche le migliori riforme non si possono concludere, per cui lo scopo – o per meglio dire il tentativo – di modificare l’articolo 138 è di rendere “attuabili” le riforme, a prescindere dal loro contenuto.

Durante il voto a Palazzo Madama i senatori Sel sventolavano le proprie copie della Costituzione per rimarcare il loro legittimo dissenso alla riforma, ma forse sarebbe stato più giusto leggerlo quel libro prima di sventagliarlo in faccia al ministro Quagliariello. Metti che poi risponda?