Maria Zambrano, una delle più grandi filosofe spagnole del XX secolo, ha lasciato un’eredità preziosa sul tema dell’istante. Secondo la sua visione, l’istante è una dimensione temporale in cui il Supremo appare agli uomini, regalando loro attimi di felicità festosa. Questo momento di grazia è però destinato a svanire rapidamente, come un sogno che si dissolve al risveglio.
Zambrano rintraccia questa concezione dell’istante nella religiosità degli antichi greci, che vedevano nel momento presente il luogo in cui gli dei si manifestavano agli uomini. L’esempio più lampante è quello del mito di Narciso, che si innamora della propria immagine riflessa nell’acqua. Narciso rappresenta l’uomo che cerca di afferrare l’istante, ma che in realtà lo perde per sempre.
La stessa idea è presente anche nelle grandi vittorie sportive. Queste sono spesso vissute come momenti di estasi, in cui gli atleti sembrano toccare il cielo con un dito. Tuttavia, la vittoria è un’esperienza effimera, che svanisce rapidamente con il passare del tempo. In contrasto con la vittoria, il ricordo della sconfitta è spesso molto più vivido e duraturo. Questo perché la sconfitta ci ricorda la nostra fragilità e la nostra condizione di esseri mortali.
Hybris culturale
L’esperienza della vittoria nello sport contemporaneo spesso porta gli uomini a cadere nella trappola della superbia, credendo di essere sovra-potenti e attribuendo il successo unicamente ai propri meriti. Questo è esattamente ciò che è accaduto al presidente della federazione spagnola Luis Rubiales durante la finale del Mondiale femminile tra Spagna e Inghilterra. Il suo gesto di toccarsi i testicoli per irridere la squadra avversaria e il bacio in bocca dato a Jenni Hermoso hanno scatenato un terremoto politico in Spagna e sono stati oggetto di discussione anche al di fuori del paese.
Secondo gli antichi greci, l’hybris, la superbia, era considerato il peccato più grave dei mortali. L’atteggiamento tracotante da parte di Rubiales si riflette nella sua esaltazione “padronale” e nella sopravvalutazione della complicità con le calciatrici. Ciononostante, il suo comportamento è inaccettabile, soprattutto per chi ricopre una carica istituzionale, che richiede disciplina, onore e controllo emotivo anche nei momenti più concitati.
La superbia degli stolti
La superbia orgogliosa di Rubiales è proseguita nei giorni successivi con scuse tardive, e finte, per il gesto compiuto, visto che aveva chiesto di non «prestare attenzione agli idioti e agli stupidi» che lo stavano criticando. Questo atteggiamento è tipico di chi si sente al di sopra delle regole e delle critiche, e che non riconosce i propri errori. La conferenza stampa dello scorso venerdì, da re pericolante e accecato dall’ira pronto a ribaltare tutte le accuse pur di non perdere il proprio potere nel già iniziato conflitto giudiziario contro la calciatrice spagnola, assurdamente passata da vittima a colpevole, e di quelli in vista contro FIFA e istituzioni sportive spagnole, è stata un’ulteriore dimostrazione di questo atteggiamento.
Romper el silencio
La vicenda del bacio di Luis Rubiales a Jenni Hermoso va oltre una semplice gestione fallimentare dell’istante della vittoria. È importante contestualizzare questo gesto all’interno di una situazione più ampia. Per comprendere appieno il contesto, si consiglia di guardare il documentario “Romper el silencio”, che racconta le lotte della Nazionale femminile spagnola a partire dal 2015. Queste lotte hanno portato all’allontanamento del precedente allenatore, Ignacio Quereda, accusato di comportamenti paternalistici e violenti nei confronti delle giocatrici.
L’ammutinamento delle giocatrici negli ultimi mesi e la protesta in sostegno a Jenni Hermoso non sono nati dal nulla, ma sono il risultato di un’eredità di problematiche all’interno della federazione spagnola. Non a caso, la lettera ufficiale di protesta contro Rubiales è stata firmata da 58 giocatrici, molte delle quali senatrici passate e presenti.
È evidente che esiste un problema di empatia e sintonia con il mondo femminile all’interno della federazione spagnola, come dimostrano gli applausi ricevuti da Rubiales al termine del suo discorso delirante. Questo caso mette in luce l’arroganza del potere e la mancanza di consapevolezza delle dinamiche di genere che ancora persistono nel mondo dello sport.
Chi decide, chi subisce
Il calcio femminile sta vivendo un momento di grande visibilità, grazie anche ai successi delle nazionali e alle battaglie per la parità di trattamento rispetto al calcio maschile. Tuttavia, le agitazioni interne al calcio femminile ci raccontano di un rapporto ancora difficile e tormentato tra i due sessi, perché riflette una generale disparità di potere, che porta gli uomini a prendere le decisioni e le donne a subirle.
La vicenda spagnola non è un caso isolato
Volgendo lo sguardo alle vicende recenti del Mondiale e a quelle degli ultimi mesi, troviamo conflitti tra calciatrici e le rispettive federazioni disseminati un po’ ovunque.
Dalle proteste della Nazionale canadese per le disparità di trattamento (non solo nella retribuzione) ricevute rispetto alla nazionale maschile nonostante lo storico successo olimpico a Tokyo, alla vicenda del coach dello Zambia accusato di molestie sessuali su alcune giocatrici, passando per la Francia che aveva anche lei vissuto negli scorsi mesi l’ammutinamento di tre protagoniste, con aspetti paradossali, perché al centro delle accuse di aver creato un ambiente psicologicamente malsano per le calciatrici era finita una donna, l’ex commissario tecnico Corinne Diacre.
E ancora l’inchiesta interna al campionato professionistico americano, che pochi mesi fa ha portato alla luce un quadro agghiacciante e allarmante fatto di aggressioni psicologiche, verbali e sessuali nei confronti delle atlete da parte di numerosi allenatori e dirigenti (anche in questo caso non solo uomini).
Es lo mismo
Insomma, alcuni uomini all’interno delle istituzioni sportive hanno evidenti problemi a trattare il calcio femminile e le calciatrici come qualcosa di serio, importante, ma anche diverso. Questo è un punto che spesso sfugge alle analisi, quando si parla di disparità di potere tra calcio maschile e femminile. In questi anni si è puntato tanto, e giustamente, sull’uguaglianza tra calcio maschile e femminile come modo di legittimazione della seconda disciplina rispetto alla prima, da cui il profluvio di slogan “one football” e “es lo mismo”, o anche spot come quello francese divenuto virale alla vigilia dei Mondiali.
Diversità
Il calcio femminile è uno sport diverso dal calcio maschile, non solo per la minore velocità e forza delle atlete, ma anche per tanti altri aspetti rilevanti. Nonostante il successo di pubblico del calcio femminile, persiste ancora una sotto-rappresentazione di genere evidente rispetto ad altri ambienti professionisti. Solo di recente, infatti, sono stati fatti passi avanti verso il professionismo, come nel caso dell’Italia.
Inoltre, il calcio femminile è ancora oggetto di pregiudizi e stereotipi, come dimostra il caso Rubiales-Hermoso. Questo episodio ha messo in luce la radicale differenza culturale riguardo alla libertà delle scelte sessuali, che nel calcio maschile ancora costringe quasi tutti ad avere paura di esporsi.
Il calcio femminile è oggetto soprattutto di pregiudizi da parte degli addetti ai lavori, che spesso non comprendono e discutono aspetti fondamentali come l’impatto del ciclo mestruale, la salute dei muscoli pelvici, i problemi di nutrizione, e molto altro ancora. La carenza di studi scientifici sulla fisiologia e la psicologia delle atlete è stata denunciata dalla giornalista e studiosa americana Christine Yu nel suo libro “Up to speed”.
Il calcio femminile è un fenomeno in costante crescita, ma se la sua diversità non viene accolta e valorizzata dagli uomini, o al contrario viene negata, può creare conflitti.
Femminismo e sport
Durante i Mondiali femminili di calcio è scomparso Mario Tronti, uno dei più grandi pensatori politici dell’Italia repubblicana, che ha sempre seguito una stella polare: politica è conflitto, parti in lotta, grandi mediazioni possibili solo dal riconoscimento del conflitto come suo esito. È morta anche Michela Murgia, la grande e combattiva scrittrice, simbolo italiano del femminismo contemporaneo che ha trasmesso i valori del femminismo persino in un mondo, quello del calcio, solitamente restio alla politica: nella recente trasferta europea della Juventus Women a Barcellona per disputare il trofeo Gamper, si è visto il suo libro “God save the queer” in mano a delle calciatrici bianconere in attesa dell’imbarco. Tronti e Murgia, nella loro diversità, sono precursori di lotta ai conflitti e nel riconoscimento delle problematiche che ne derivano. Sotto questo aspetto, il calcio femminile è nato come movimento di lotta.
Il calcio maschile non è mai stato politico
Si è subito strutturato e organizzato come ordinamento istituzionale autonomo, e ha sempre vissuto in un altrove simbolico e fisico-geografico, con la neutrale e tranquilla Svizzera non a caso patria delle due più grandi organizzazioni calcistiche mondiali. Il calcio maschile è divenuto universale e globale perché non è mai stato al centro, se non in forme marginali o episodiche, di aspri conflitti sociali.
Il calcio femminile, invece, è inscindibile dalla lotta politica e dal movimentismo politico. La sua ascesa planetaria è una creatura storica del femminismo americano, nella forma emancipazionista del Title IX che aprì dapprima il sistema scolastico alle pari opportunità e di conseguenza diede impulso allo sviluppo degli sport femminili, e oggi in quella rivendicativa dell’era Me Too, basata sulla denuncia della tossicità patriarcale e dei soprusi maschili nei confronti delle donne negli ambienti di lavoro. Linguaggi e idee che stanno alla base tanto della lotta delle calciatrici americane, quanto di quelle canadesi, spagnole, e di molte altre.
Di che parliamo quando parliamo di femminismo
Quando parliamo di femminismo, non parliamo di un monolite, ma di una pluralità di voci e posizioni tra loro anche in contrasto, che, su un piano più generale, fanno riferimento a uno dei pochi grandi progetti politici e ideologici oggi esistenti nelle società occidentali, che possiede un fortissimo potere di mobilitazione sociale, collettiva e comunicativa.Il calcio femminile rappresenta l’irruzione del conflitto politico nel mondo a-conflittuale del calcio, e con un ruolo di avanguardia attiva.
Le calciatrici della nazionale statunitense, ad esempio, hanno citato in giudizio i vertici federali: Megan Rapinoe e le sue compagne, hanno aperto la strada per una maggiore consapevolezza delle questioni di genere nel calcio, portando avanti battaglie legali per la parità di trattamento. In Spagna, le calciatrici stanno reclamando piena eredità della via aperta dalle calciatrici americane, alzando ancora di più la posta in palio minacciando lo sciopero a oltranza dalle convocazioni, catturando un sentimento di protesta dal basso e un ampio supporto popolare. La vicepresidente del governo Sanchez, Yolanda Diaz, ha esplicitamente dichiarato che la vittoria del Mondiale è stata una dimostrazione di femminismo.
Dall’altra parte, la Germania ha dominato il calcio femminile nel primo decennio del nuovo millennio, vincendo due Coppe del Mondo consecutive. Ma nonostante la loro forza sul campo, le calciatrici tedesche non sono state in grado di lasciare un’impronta globale, sia perché l’interesse mediatico era minore rispetto ad oggi, sia perché non erano strettamente legate alle rivendicazioni femministe.
Non sarà indolore
Portare il conflitto politico dentro il calcio può sollevare anche reazioni contrarie per motivi non sportivi. In particolare, il calcio femminile è spesso associato agli Stati Uniti, dove ha una forte presenza e un grande seguito. Però non significa che il calcio femminile sia un fenomeno pacificato e universale: al contrario, è lo sport delle coste, soprattutto quella californiana, del mondo liberal, delle famiglie bianche beneducate e benestanti che possono permettersi gli altissimi costi delle scuole calcio di élite, che ha come propria capitale elettiva Portland, città hipster per eccellenza, che ospita il club femminile più vincente.
Lo stesso accadrà in Spagna dove non tutti si schiereranno con Hermoso e le calciatrici. Luis Rubiales, nonostante i legami familiari con il Partito Socialista, diventerà un’icona dei militanti di Vox, perché nel conflitto evocato rientra anche l’adesione più o meno silenziosa di tanti uomini (e donne) a posizioni contrarie a quelle femministe, in un mondo globale dove rilevanti aree del globo non partecipano per ragioni storico-culturali del suo movimentismo e delle sue rivendicazioni.
Il conflitto come motore di cambiamento
Il conflitto può essere un motore di cambiamento, e la reazione che è nata nei confronti dei comportamenti di Rubiales potrebbe portare benefici e forza al movimento nel medio e lungo periodo. Ci sono due scenari in cui leggere il futuro dello sport dalla prospettiva che stiamo analizzando.
La via inglese
Il primo scenario è quello inclusivo e paritario, che potremmo ribattezzare “via inglese”. Questa strada prevede donne di prestigio e autorevoli, con alle spalle un lungo percorso professionale nello sport, inserite nei posti di comando federali, a partire da Kelly Simmons e Sue Campbell, per trasformare la federazione in senso inclusivo e valorizzare a pieno il calcio femminile. Il simbolo di questa trasformazione non sono tanto le vittorie, quanto la priorità nell’utilizzo del campo di allenamento principale di St George’s Park, la Coverciano inglese, accordata alle ragazze di Sarina Wiegman la scorsa estate nei giorni di preparazione per l’Europeo, in concomitanza con la presenza nel centro sportivo della Nazionale maschile che stava invece preparando la Nations League.
Il paternalismo illuminato
Poi c’è un’altra via, che forse potremmo definire “paternalismo illuminato”. È quella del presidente della FIFA, Gianni Infantino, molto scaltro nella sua recente trasformazione da militante “femminista”. Il discorso pronunciato in conclusione dei Mondiali, con l’invito alle donne a bussare per farsi aprire le porte ha a sua volta una buona dose di paternalismo, ma va dato atto alla FIFA che gli ottimi risultati di seguito degli ultimi due Mondiali e l’aumento del montepremi sono ottenimenti concreti e importanti. Da questo punto di vista si è fatta molta strada rispetto alla FIFA di Blatter, con tanto di pantaloncini sexy da far indossare alle calciatrici per attrarre pubblico, o al disinteresse sempre mostrato da Platini nei confronti di questo sport.
Lo scenario autonomista
Infine, c’è un ultimo scenario possibile, quello “autonomista”, che prevede istituzioni calcistiche femminili separate da quelle maschili, o perlomeno una maggiore autonomia del calcio femminile nel solco di quelle esistenti. Questa possibilità è stata a lungo negata dalla realtà, poiché il calcio femminile è stato e continua a essere in larga parte uno sport sussidiato dai ricavi del calcio maschile. Tuttavia, l’equal pay di alcune federazioni, che all’atto pratico è ad oggi consistito in un obolo di solidarietà versato dai calciatori maschi alle proprie colleghe meno abbienti, potrebbe rappresentare un primo passo verso una maggiore autonomia del calcio femminile: organizzare grandi competizioni costa, gestire squadre costa, avere strutture e staff dedicati costa.
Break even finanziario
Il 2023 passerà alla storia come l’anno del primo grande evento femminile globale capace di raggiungere il break even finanziario. Questo è stato possibile grazie in parte a situazioni non previste alla vigilia, come il cammino dell’Australia che ha spinto la vendita dei biglietti e l’interesse attorno alla manifestazione. Inoltre, il 2023 è stato l’anno del primo club, il Barcellona, capace di raggiungere con la propria sezione femminile l’agognato traguardo dell’autofinanziamento grazie a sponsor e ricavi dal botteghino.
Capacità di autogenerarsi
I primi report Deloitte ci raccontano di una Women’s Super League che nella stagione 2021-22 ha già raggiunto il 60% di risorse autogenerate rispetto alle spese complessive, una percentuale destinata a crescere nei prossimi anni. Inoltre, la plurititolata sezione femminile del Lione è in procinto di essere acquistata da una visionaria imprenditrice americana, Michele Kang, che ha già dichiarato di volere un proprio stadio e un proprio centro d’allenamento per la squadra femminile.
Tuttavia, non tutti i paesi stanno seguendo la stessa strada. In Italia, ad esempio, il calcio femminile sta guadagnando popolarità, ma non riceve ancora lo stesso sostegno economico e mediatico del calcio maschile.
Andare oltre
Nonostante ciò, l’entusiasmo per la Coppa del Mondo femminile FIFA 2023 è aumentato di 7 punti percentuali rispetto al torneo del 2019. Nel prossimo ventennio ci sarà un sensibile aumento dei ricavi, il calcio femminile avrà una sua prima ricchezza da gestire, ed è lecito pensare che alla gestione politica di questa torta vorranno contribuire in maniera attiva molte delle calciatrici di oggi, facendo pesare il proprio ruolo dentro – e chissà, oltre – le istituzioni calcistiche tradizionali.
Rispondi