Proviamo a rovesciare il cannocchiale: non cerchiamo l’origine politica dello scandalo bancario, ma cerchiamo l’origine bancaria dello scandalo politico. Proviamo a non immaginare un sistema sano infettato dai soliti due o tre mariuoli a cui appioppare, ex post, le colpe penali; immaginiamo invece un sistema marcio indipendentemente dall’onestà personale di chi lo guida.

Proviamo anche a non chiederci chi controlla le banche ma chi è controllato dalle banche. Perché i loro scandali, i loro fallimenti – soprattutto i loro salvataggi – sono tutti uguali: sia se succede a quelle islandesi o alla Lehman, al Monte Paschi o all’Exile, alle casse di risparmio spagnole o ai giganti inglesi o a società industriali come Enron, lo schema è sempre quello: la corsa alla creazione di strumenti finanziari sempre più complessi, sempre meno collegati alla realtà, sempre più vicini alle scommesse per consentire al denaro di creare subito denaro, saltando la fase umile, e spesso lenta, dell’economia reale, della produzione e del lavoro.

Tanto poi perfino i liberisti di Fermare il declino chiederanno di salvare, risanare, ripulire e rivendere alla prossima banda di furbetti del quartierino.