C’è un dato che Bersani non può più ignorare: la sua maggioranza all’interno del partito si è disciolta a soli 30 giorni dalle elezioni. L’indicazione, per quanto vaga e poco proficua, è stata l’elezione dei capigruppo ieri alla riunione Dem il cui dissenso interno è sfociato con la nomina di Roberto Speranza a Montecitorio. La frotta di schede bianche e nulle che hanno accompagnato il candidato voluto da Bersani, è un palese segno di malcontento che va aldilà del semplice scetticismo sulla scelta del capogruppo alla Camera. È una scelta ben definita e consolidata persino all’interno della vecchia guardia bersaniana, tutti personaggi che fino a poche settimane fa vedevano il segretario come unico e possibile candidato alla guida del paese. Ora non è più così.

La spinta di rinnovamento ha travolto tutti; le ambizioni dei “Giovani turchi”, che si sono visti respinti il loro candidato alla guida dei deputati di Montecitorio (Andrea Orlando, ndr), sono la punta dell’iceberg all’interno della maggioranza bersaniana. Le scelte politiche del segretario sono cadute in disgrazia a scapito di una linea che fino a pochi mesi fa era ritenuta offensiva dai suoi stessi sodali. Le ambizioni degli ex popolari si sono infrante perché il partito sta per spostarsi troppo a sinistra portato alla deriva degli 80 franchi tiratori che hanno lasciato in bianco la loro scheda al momento di scegliere il presidente dei deputati.

I parlamentari renziani, riuniti poco prima dell’assemblea al Senato, sono rimasti compatti nel nome di Luigi Zanda a Palazzo Madama; ma hanno preferito soprassedere sulla scelta di Speranza a Montecitorio: «Noi non abbiamo alcun interesse a mettere bocca su queste nomine – spiega un deputato vicino al sindaco di Firenze – ha vinto Bersani e tocca a lui scegliere i nomi, che a noi piacciano o no». La logica è quella di lasciar fare al segretario, se poi Bersani riesce ad indebolirsi da solo è tutto di guadagnato per Matteo Renzi.

La forzatura a Bersani gli è stata fatale. L’ultimo sondaggio Swg arrivato al Nazareno è chiaro: una coalizione formata da Pd-SeL-Scelta Civica guidata da Bersani raggiungerebbe a malapena il 29% a fronte del 40 di Grillo; una coalizione guidata invece da Renzi, con dentro la lista Monti ma senza Vendola, schizzerebbe addirittura al 44%, impoverendo il bacino elettorale di M5S e centrodestra. «Se l’intento di Bersani, anche con le ultime nomine, è quello di riuscire a ripresentarsi come candidato premier a elezioni che sente vicine – garantisce un deputato ex popolare – non pensi di farsi nominare da un caminetto. Dovrà passare dalle primarie e di sicuro non avrà dalla sua parte tutti quelli che lo sono stati lo scorso autunno». Chiaro no?