Il 20 gennaio 2025 Trump inaugura un mandato che unisce politica e spettacolo. Dopo i festeggiamenti al Madison Square Garden, il governo abbandona alcune misure del Project 2025 per proteggere i servizi essenziali e concede a Elon Musk privilegi sui pagamenti. Nel frattempo, il Dipartimento di Giustizia agisce contro i nemici del Presidente, mentre Musk attacca migranti, ONG e aborto. Inoltre, il governo sospende fondi internazionali, pianifica nuove strutture a Guantanamo e introduce dazi su Messico, Canada e Cina, trasformando la politica in un un Fight club che mette a rischio la democrazia americana e l'ordine globale.
Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, ufficializzato il 20 gennaio, si inserisce in un percorso che ha avuto inizio mesi prima, quando il 16 novembre 2024, al Madison Square Garden di New York, si è consumata una festa che sembrava più uno show che una tradizionale celebrazione politica. Quella sera, in un’atmosfera elettrica e in perfetta sintonia con il ritmo di “American Bad Ass” di Kid Rock, Trump, undici giorni dopo aver sconfitto Kamala Harris, ha varcato il palco tra due ali di folla in delirio. Mentre si dirigeva verso il tavolo dei presentatori per salutare amici di vecchia data come Joe Rogan e Dana White, ha preso posto in prima fila, circondato da alcune delle figure più influenti del Partito Repubblicano – dallo speaker della Camera Mike Johnson, passando per il probabile futuro segretario alla salute Robert F. Kennedy Jr. e la futura direttrice dell’Intelligence nazionale Tulsi Gabbard, fino a incontrare Vivek Ramaswamy, uno dei co-direttori del dipartimento per l’efficienza del governo – e perfino da alcuni dei suoi figli e dall’alleato Elon Musk, l’uomo più ricco del mondo e apparente principale consigliere del Presidente.
Quell’evento non fu solo una celebrazione politica, ma un vero e proprio spettacolo sportivo: tutti erano lì per assistere ai combattimenti all’ultimo sangue organizzati dalla Ultimate Fighting Championship (UFC), l’organo principale delle arti marziali miste (MMA). Uno sport di combattimento full contact che unisce stili come karate, jiu jitsu brasiliano, taekwondo, lotta libera, pugilato e kickboxing, dove quasi tutte le parti del corpo possono diventare strumenti di attacco – dalle gomitate alle ginocchiate, dai calci a colpi vari – mentre in teoria restano vietati morsi e colpi mirati a testa, nuca ed occhi. Se trent’anni fa le MMA erano seguite da pochi e trasmesse solo via cavo nelle fasce notturne, oggi rappresentano uno degli sport più popolari negli Stati Uniti e in molte altre nazioni, con un seguito stimato tra 300 e 600 milioni di appassionati.
Trump e il mondo UFC
Il percorso di Dana White, appassionato di boxe nato in Connecticut in una famiglia di origini irlandesi, è emblematico: agli inizi degli anni duemila, insieme ad altri soci, comprò la UFC, allora in cattive acque, e si trovò a dover affrontare la riluttanza dei proprietari di arene sportive a ospitare eventi di quel genere. Fu allora che trovò alleati determinanti, tra cui Trump – che intuì il potenziale di questo nuovo modello di combattimento e lo sostenne organizzando incontri al Trump Taj Mahal di Atlantic City – e Joe Rogan, ex stand-up comedian e appassionato di arti marziali, che alla fine degli anni novanta aveva iniziato a commentare gli eventi UFC, diventando un esperto promotore di quel mondo.
La sintonia tra Trump e White non si limitò al campo sportivo, ma si estese al terreno degli affari e della gestione delle relazioni umane, dove entrambi esigevano lealtà assoluta e si mostravano spietati contro concorrenti e avversari. Così, mentre il trumpismo e l’UFC prendevano forma in parallelo nel secondo decennio degli anni duemila, venne promossa una visione dell’America basata su una rivalsa contro un sistema percepito come elitario. Dana White costruì il suo business intorno a una versione violenta del sogno americano, dove anche chi partiva da condizioni difficili – un disoccupato, un ex detenuto, un immigrato – poteva aspirare a una svolta, benché in realtà pochi lottatori arrivassero a diventare ricchi e famosi, mentre la maggior parte riusciva solo a mantenersi o fu costretta a cercare altre strade. Allo stesso modo, Trump cavalcò il sentimento di rivalsa di chi si sentiva emarginato dalla storia e dalla società tradizionale.
L’incontro fatale
Con il passare del tempo, i sentieri dell’UFC e del trumpismo si incrociarono in maniera sempre più evidente: nel 2015 White fu tra i primi a sostenere la candidatura di Trump, e dopo la vittoria alle primarie il Presidente gli chiese di tenere un discorso alla convention repubblicana, fino a fondersi completamente durante l’ultima campagna elettorale. White facilitò il contatto con un pubblico nuovo, quello degli appassionati di MMA – per lo più giovani uomini, di età compresa tra i 18 e i 44 anni, come evidenziato dai dati di Img Arena, che mostrano come il 75 per cento dei followers abituali dell’UFC siano maschi – e, attraverso podcaster, comici e youtuber, venne creato un ponte con un elettorato storicamente poco incline a seguire la politica, ma sempre pronto a ribellarsi contro quella che percepivano come una cultura progressista e woke.
Il cerchio si chiuse il giorno dopo le elezioni, quando White salì sul palco durante la festa per la vittoria di Trump e, uno a uno, ringraziò i protagonisti della serata: “Voglio ringraziare i Nelk Boys, Adin Ross, Theo Von, Bussin’ with the Boys e, ultimo ma non meno importante, il potente Joe Rogan!”. Come osserva Hady Mawajdeh su Vox, associandosi all’UFC, Trump riesce a confondere i confini tra politica e spettacolo, rimodellando la cultura statunitense in modo profondo, con ramificazioni che si faranno sentire per anni. Si presenta come un combattente, un guerriero implacabile contro un establishment progressista e decadente, e i legami con il mondo delle MMA rafforzano questa immagine, trasformando quello che era un settore di nicchia – sebbene meno seguito rispetto a NBA e NFL – in un rifugio per i conservatori moderni e un palcoscenico della guerra culturale in atto.
L’arte del combattimento
C’è poi una netta differenza tra il Trump del primo mandato e quello di oggi in modalità UFC, spietato e deciso a superare ogni limite. La seconda settimana di governo ha già visto i primi scombussolamenti: un provvedimento, inizialmente approvato e poi revocato, mirava a bloccare temporaneamente centinaia di miliardi di dollari di fondi federali per rivedere le spese, con l’obiettivo di escludere programmi e organizzazioni non in linea con le sue priorità politiche e ideologiche. Tuttavia, la misura fu abbandonata quando si capì che avrebbe intaccato servizi basilari, come i pasti per gli studenti o il sostegno ai reduci di guerra senzatetto, rivelando così l’improvvisazione che caratterizza questa seconda amministrazione, dove l’amministrazione crede di poter stravolgere il funzionamento del governo con un semplice decreto.
Questo approccio fa parte del controverso Project 2025 – il manifesto conservatore dell’Heritage Foundation – che Trump aveva in parte evitato durante la campagna elettorale, e che propone, tra le altre cose, che tutte le spese dell’esecutivo siano allineate alle sue priorità. Un altro pilastro del progetto è il ridimensionamento dell’amministrazione pubblica, una mossa condivisa da Elon Musk, che ora guida il DOGE, il Dipartimento per l’Efficienza del Governo. In questo contesto, i dipendenti federali hanno ricevuto una comunicazione con la proposta di una buonuscita pari a otto mesi di stipendio, se decidessero di lasciare il lavoro entro il 6 febbraio, lasciando aperte le domande sui costi e sul numero di chi accetterà. Con circa 2 milioni di impiegati, il governo federale sta affrontando una trasformazione radicale.
Elon Musk avrà i super poteri
Un’inchiesta del New York Times ha messo in luce che Musk e i suoi collaboratori hanno ottenuto pieno accesso al sistema usato dal Dipartimento del Tesoro per i pagamenti governativi, strumento che potrebbe permettere a Trump di limitare unilateralmente l’erogazione di fondi approvati dal Congresso, anche se questa pratica incontrerebbe inevitabili ostacoli legali. Nel frattempo, il dipartimento di giustizia avvia una campagna punitiva contro quelli che il Presidente considera nemici: sono stati licenziati almeno dodici procuratori federali che avevano indagato sul caso del 6 gennaio 2021, e l’FBI ha annunciato controlli su migliaia di agenti coinvolti nelle indagini, dopo che Trump aveva già rimosso diversi funzionari del dipartimento che avevano lavorato sui due casi federali a suo carico.
Musk, tra l’altro, ha deciso di giocarsi la carta europea inventandosi l’universo MEGA – Make Europe Great Again – in un tweet che ha ricevuto oltre 60 milioni di visualizzazioni e il plauso di tutto l’ambiente dell’ultra destra continentale. Il post è esploso in mezzo a una raffica di contenuti tossici: Musk ha scatenato una bufera digitale attaccando i migranti (“un’ondata illegale da fermare”), puntando il dito contro le ONG (“complici dell’invasione”), e sparando a zero sull’aborto (“una piaga liberal”). Non ha risparmiato neppure Anthony Fauci, l’epidemiologo diventato bersaglio dei complottisti durante il Covid, definendolo “un fallimento della vecchia guardia”.
Tra un insulto e l’altro, ha elogiato il congelamento dei fondi agli aiuti internazionali (“finalmente tagliamo i viveri ai globalisti”), osannato l’amministrazione Trump (“l’unica che fa pulizia”) e infine lanciato in un self-promo stellare: “Guardate Starship, il futuro è multiplanetario”. Un mix di aggressività e grandiosità tipico del suo stile: da una parte la guerra culturale, dall’altra il sogno di colonizzare Marte.
L’immigrazione è il male
Il caos si è ulteriormente esteso con la sospensione, per novanta giorni, dei finanziamenti ai programmi di aiuti internazionali, con l’obiettivo di verificare che ogni progetto sia coerente con la linea politica del Presidente. Le organizzazioni colpite spaziano da quelle che rimuovono mine terrestri in zone di conflitto a quelle che forniscono test e cure per l’HIV in paesi africani, passando per enti che aiutano le popolazioni in zone di guerra, finanziano indagini sulla disinformazione russa e combattono la precarietà alimentare.
Sul fronte dell’immigrazione – come ho anche scritto nel mio libro – Trump ha annunciato piani per allestire nuove strutture a Guantanamo, la base militare statunitense sull’isola di Cuba, capaci di ospitare fino a trentamila migranti espulsi dagli Stati Uniti. Questo progetto, parte integrante del grande programma di espulsioni promesso dal Presidente, è avvolto da dubbi logistici e finanziari. La confusione regna, poiché Trump aveva inizialmente promesso di dare priorità alle espulsioni di immigrati con precedenti penali, mentre le retate successive al suo insediamento hanno visto l’arresto di circa 3.500 persone, spesso senza precedenti, che la Casa Bianca definisce “criminali” per la loro presenza illegale – sebbene, per legge, si tratti di violazioni dei diritti civili, garantendo loro il diritto a un’udienza davanti a un giudice. Dei circa 11 milioni di immigrati irregolari stimati negli Stati Uniti, la maggioranza lavora nei settori dell’agricoltura, dell’edilizia e dei servizi.
I dazi come regola
Infine, il Presidente ha introdotto i tanto annunciati dazi commerciali: un 25 per cento sulle merci provenienti da Messico e Canada, accusati di non fare abbastanza per arginare il traffico di Fentanyl e l’immigrazione irregolare, e un ulteriore 10 per cento sulle importazioni dalla Cina. Questi tre paesi, principali partner commerciali degli Stati Uniti e responsabili del 40 per cento delle merci importate, potrebbero subire ripercussioni tali da incidere sui prezzi, con effetti diretti sulle famiglie americane.
Così, in un turbinio di alleanze insolite, mosse rischiose e decisioni impulsive, si delinea il secondo atto del governo Trump: una rivoluzione che sfida ogni convenzione, trasformando la politica in un’arena spettacolare degna di Fight club, dove ogni decisione, per quanto controversa, incide non solo sul destino della democrazia americana, ma anche sul sistema globale interconnesso in cui viviamo.
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