Donald Trump ha vinto per la seconda volta non consecutiva le elezioni americane e diventa il 47° Presidente degli Stati Uniti. In un'elezione senza grossi margini di errori dei sondaggisti, è finito tutto relativamente presto: con la vittoria in Wisconsin a metà mattinata di mercoledì, si è aggiudicato i 270 elettori necessari per tornare alla Casa Bianca.
Donald Trump ha vinto le presidenziali contro Kamala Harris, segnando una delle rimonte politiche più straordinarie della storia americana. Dopo aver conquistato Pennsylvania, Georgia e Wisconsin, Trump ha superato i 279 voti elettorali necessari, mentre Harris si è fermata a 219. La campagna è stata segnata da eventi drammatici: due attentati sventati e ben 34 capi d’accusa contro Trump, accusato tra l’altro di una gestione disastrosa della pandemia e già sottoposto a due procedimenti di impeachment.
La decisione di Joe Biden di ritirarsi dopo il deludente dibattito di giugno, in cui è apparso incerto e disorientato, ha segnato il punto di svolta lasciando la strada aperta a Trump. La sua vittoria dimostra la frustrazione profonda degli americani per questioni come l’inflazione e l’immigrazione – aspetti su cui i democratici non sono riusciti a rassicurare l’elettorato – e mette in luce la demotivazione rispetto all’elezione della prima donna presidente, nonostante la revoca da parte della Corte Suprema delle protezioni sull’aborto.
Per Trump, questa vittoria significa molto più che un ritorno alla Casa Bianca. Politicamente è una rivincita, ma soprattutto rappresenta una potente protezione legale: come presidente, potrebbe tentare di bloccare o influenzare le indagini sul possesso di documenti classificati e sui tentativi di ribaltare le elezioni del 2020.
La trasformazione dei partiti
Questa vittoria segna probabilmente un cambio di direzione per entrambi i partiti. Il suo successo rafforza il movimento “Make America Great Again” come centro del repubblicanesimo, e con JD Vance come vicepresidente, il percorso sembra tracciato anche per il futuro. Sul fronte democratico, si aprirà invece un’analisi profonda per capire come un candidato con un passato controverso abbia potuto trionfare contro le loro proposte.
Trump, del resto, non ha fornito molte indicazioni sulle sue priorità per il nuovo mandato. Durante il confronto con Harris, ha detto di avere “un piano in mente” per la sanità senza dare dettagli, limitandosi invece a promettere attacchi ai suoi avversari politici e alla stampa. Tuttavia, con la sua esperienza nel sistema federale, potrebbe posizionare ai vertici delle istituzioni pubbliche figure fedeli alla sua visione.
A supportarlo troverà un Senato a maggioranza repubblicana, mentre la maggioranza alla Camera rimane, ancora per poco, incerta.
I piani del presidente Trump
Trump sembra determinato a imprimere la sua impronta in alcune aree chiave: politica estera, commercio e immigrazione. A livello globale, ha annunciato che ridurrà il supporto all’Ucraina; in economia, punta a tariffe del 100% su alcune importazioni e una linea dura per l’immigrazione, con espulsioni di massa e l’eliminazione del programma di protezione temporanea.
Sul fronte energetico, promette di “trivellare senza limiti” per ridurre i costi, anche se, secondo gli economisti, le tariffe proposte potrebbero aumentare i prezzi di diversi beni di consumo. Tra le sue proposte c’è anche l’idea di eliminare le tasse su mance e straordinari, insieme a nuove agevolazioni fiscali per i pensionati.
Ma la questione che più preoccupa i democratici è l’ossessione di Trump per la “vendetta politica.” Nonostante nel 2016 guidasse i cori di “rinchiudetela” contro Hillary Clinton senza mai agire, ora appare sempre più intenzionato a colpire chi considera “il nemico interno”. Recentemente ha minacciato di licenziare il procuratore speciale Jack Smith, che lo ha accusato in due processi federali, promettendo addirittura di espellerlo dal Paese.
L’alternativa impossibile
La sua vittoria, però, non è mai stata così incerta. Dopo l’attacco al Campidoglio del 6 gennaio 2021, anche molti esponenti repubblicani hanno preso le distanze. Sembrava quasi che il partito fosse pronto a voltare pagina, fino a quando l’ex speaker della Camera Kevin McCarthy ha deciso di incontrarlo a Mar-a-Lago per riorganizzare la strategia della Camera. Nonostante le difficoltà, il partito ha continuato a puntare su Trump, anche se il voto di mid-term del 2022 ha riacceso i dubbi, con i repubblicani che speravano in una “marea rossa” ma hanno ottenuto risultati modesti.
La ricerca di un’alternativa a Trump ha portato nomi come il governatore della Florida Ron DeSantis, un altro “picchiaduro” alla Trump ma con sfumature più moderate. Mentre l’ex governatrice della South Carolina Nikki Haley e l’ex vicepresidente Mike Pence si sono presentati come opzioni conservatrici più tradizionali.
Ma ogni tentativo di rivaleggiare con Trump è stato vano. Pence si è ritirato prima della fine dell’anno, DeSantis ha abbandonato dopo i deludenti risultati in Iowa, e Haley, pur restando più a lungo, non ha mai impensierito la base consensuale di Trump. L’elettorato repubblicano, ormai, è saldo nelle mani dell’ex presidente, con buona pace di chi sperava in un’alternativa.
Trump ha vinto e loro hanno perso
Donald Trump sta per tornare alla Casa Bianca e, che piaccia o meno ai suoi critici, il fatto è che il suo ritorno dovrebbe spingerli a guardarsi dentro. Se Trump ha vinto, loro hanno senza dubbio perso.
Questa non è stata una semplice sfida tra due candidati: gli elettori hanno deciso tra Trump e tutti gli altri. L’opposizione è stata una coalizione di nomi di spicco, dai democratici ai repubblicani tradizionalisti, fino a ex militari come l’ex Capo di Stato maggiore John Kelly, Questa era una battaglia politica e culturale che andava oltre il partito e che rappresentava un profondo dissenso tra chi ha mantenuto il potere negli anni e chi oggi ne rifiuta le logiche.
La vittoria di Trump simboleggia un desiderio di sradicare la vecchia classe dirigente, di rompere con il passato e ricreare le istituzioni secondo nuovi standard, finalmente pensati per servire gli interessi degli americani comuni. Questo voto esprime il rifiuto della vecchia Washington, un sistema che gli elettori percepiscono come fallito e incapace di rispondere alle sfide odierne.
Contro l’élite
Il messaggio è chiaro: chi si identifica con i valori dell’élite politica e ne accetta l’autorità, è vulnerabile. Trump non ha solo sfidato i valori della Washington istituzionale, li ha messi a nudo per mostrarne i limiti. Le convinzioni su cui si fonda l’autorità politica tradizionale sono state messe in discussione, tanto che persino la candidata democratica Kamala Harris si è ritrovata percepita come parte del sistema che Trump promette di riformare.
Il problema, per chi teme Trump, è che il suo impatto non è dato tanto da ciò che fa quanto dal modo in cui sfida apertamente le credenze consolidate. È come un ateo che irrompe in una chiesa, scardinando le fondamenta su cui si basa l’autorità del clero. Trump rappresenta la bancarotta delle ortodossie di Washington e, agli occhi di molti americani, dimostra che i leader che pretendono autorità basandosi su queste regole rigide sono, appunto, vulnerabili.
La domanda allora è: gli americani considerano giusto che questi “potenti”, legati a un sistema percepito come corrotto e fallimentare, vengano difesi?
I PIÙ LETTI DELLO STESSO ARGOMENTO
Rispondi