La caduta del regime di Bashar al-Assad ha alterato profondamente gli equilibri geopolitici del Medio Oriente. La liberazione della Siria, avvenuta in soli undici giorni, rappresenta una crisi piuttosto importante per l'Iran e la Russia. Senza Assad, l'Iran rischia di perdere il suo ponte strategico verso Hezbollah, mentre le basi russe in Siria potrebbero chiudere, privando Mosca di una preziosa influenza nella regione.
Nella crisi siriana e la successiva caduta di Bashar al-Assad, l’eroe del giorno è inevitabilmente Recep Tayyip Erdogan. Il successo turco si spiega con il ruolo decisivo svolto nel coordinare i ribelli siriani, dai gruppi islamisti di Idlib ai miliziani filo-turchi. Protette dall’enclave nel Nord-Ovest del Paese e sostenute da Ankara, queste forze hanno spinto al collasso il regime, replicando quanto Erdogan aveva già ottenuto nel Nagorno-Karabakh con gli azeri.
Il progetto neo-ottomano di Erdogan si conferma efficace: Damasco, con le sue storiche dispute sull’Eufrate, rientra nella sfera d’influenza turca. Utilizzando intermediari e milizie sunnite legate all’ideologia dei Fratelli musulmani, Erdogan dimostra ancora una volta la capacità di coniugare visione strategica e pragmatismo militare.
La disinvoltura di Erdogan nel sostenere i ribelli sunniti contro Assad evidenzia come per lui gli interessi nazionali turchi siano prioritari, anche a costo di sfidare apertamente Russia e Iran, storici protettori del regime di Damasco. Pur collaborando con Mosca e Teheran contro Israele dopo l’attacco di Hamas del 2023, Erdogan ha commentato la rivolta con un messaggio ambiguo, auspicando che la situazione in Siria prosegua “senza intoppi”.
Con la caduta di Assad è l’Iran a perdere
Perdono sostanzialmente in tre – la Russia, impantanata in Ucraina; l’Iran, logorato dalle crisi interne e dai costi dei conflitti con Israele; Hezbollah, gravemente colpito negli scontri con Israele – ma l’Iran ha da perdere molto più degli altri.
La caduta di Assad infligge un duro colpo all’Iran, che perde una pedina chiave nel progetto della “Mezzaluna sciita”1. Già indebolito dai recenti attacchi israeliani contro Hezbollah e Hamas, Teheran rischia di vedere il suo controllo regionale ulteriormente compromesso: restano operativi come alleati solo gli Houthi in Yemen e alcune milizie sciite in Iraq.
In questo contesto, il rischio che Teheran intensifichi il proprio programma nucleare per rafforzare la deterrenza regionale è sempre più concreto. La pressione interna da parte di esponenti radicali che spingono per la costruzione di un ordigno nucleare è in aumento, mentre i negoziati con l’Occidente sembrano a un punto morto. Se l’Iran percepisse un indebolimento irreversibile del proprio ruolo in Siria e in Libano, potrebbe optare per questa soluzione estrema, con conseguenze potenzialmente disastrose per l’intera regione.
La scorsa settimana, Rafael M. Grossi, direttore generale dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica, l’organo di controllo nucleare delle Nazioni Unite, ha affermato che l’Iran ha subito una “drammatica accelerazione” della sua produzione di uranio per costruire armi nucleari. Grossi dice che ha già una scorta sufficiente per costruire quattro bombe, anche se la loro trasformazione in testate missilistiche potrebbe richiedere da dodici a diciotto mesi.
Il contraccolpo in Medio Oriente
La sconfitta del regime di Assad porta ripercussioni anche su altre capitali del Medio Oriente, in primis Riyad. L’Arabia Saudita, guidata dal principe Mohammed bin Salman, è il riferimento dell’Islam sunnita, ma il movimento dei Fratelli musulmani, sponsorizzato da Ankara, rappresenta il suo avversario più temuto. Lo scontro tra Turchia e Arabia Saudita si riflette in diversi teatri regionali, dalla Siria alla Libia, con implicazioni geopolitiche e teologiche sulla leadership sunnita.
Intanto, le mosse dei ribelli siriani vicini a Israele aprono nuovi scenari: Netanyahu si prende il merito per la caduta di Assad, ma a Gerusalemme prevale la cautela per il rischio che formazioni jihadiste diventino una minaccia concreta. Parallelamente, le dinamiche nel Rojava, dove peshmerga curdi e milizie druse formano un fronte filoccidentale, complicano ulteriormente il quadro per Erdogan.
Infine la Russia
Lo smacco subito da Mosca ridisegna il suo ruolo nella regione: domenica, la Russia era stata ridotta da kingmaker a spettatrice. La vicinanza dei ribelli alle basi russe crea pressione su Putin, con Trump che spera di sfruttare la situazione per negoziare sulla guerra in Ucraina. E che Trump lo riconosca o meno, gli Stati Uniti hanno enormi interessi nel fatto che la Russia venga estromessa dalla base navale di Tartus, il suo unico porto del Mediterraneo per riparare e sostenere le navi da guerra.
L’entità delle ricadute per Mosca dovute alla rimozione di Assad è ancora da determinare. La domanda chiave, secondo gli analisti, è se la Russia riuscirà a raggiungere un accordo con il nuovo governo siriano per mantenere, oltre alla base navale di Tartus, anche la base aerea di Hmeimim, dove nel 2017 Putin pronunciò il discorso della vittoria dopo aver riportato Assad al potere.
Per la Russia, la Siria è il gioiello della corona per diventare una grande potenza nella regione, un’area che è stata tradizionalmente una sfera di influenza degli Stati Uniti. Ora non lo è più per nessuno dei due.
Così, la Turchia di Erdogan consolida la sua influenza, ma apre una partita ancora più intricata per la leadership islamica e la stabilità della regione.
- Per Mezzaluna Sciita, o Iran’s arc of influence, s’intende la sfera d’interesse iraniana che va da Teheran al Libano, passando per l’Iraq e la Siria. Gli obiettivi strategici dell’Iran sono assicurarsi il controllo e una presenza militare costante sull’area che circonda Israele, uno sbocco sicuro sul Mediterraneo per arrivare in Nord Africa senza passare dallo Stretto di Hormuz, limitare l’influenza turca nella regione ed evitare di percorrere il raggio d’azione dell’Arabia Saudita, suo principale avversario politico ed economico nella regione. ↩︎
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