E’ finito da qualche ora il congresso del Pd con le sintesi delle mozioni dei tre candidati. Le mie riflessioni personali, che non inserisco dove ho fatto il liveblogging, sono semplici e alquanto scontate: tutti vogliono un partito unito e che si radichi nel territorio, ma nessuno dei tre sa come fare o come iniziare; non esiste una linea di principio condivisa da tutti ma ne esistono tante simili tra loro che, quasi a voler dimostrare la lontananza d’intenti tra i candidati, si dividono le tesi di largo consumo; Bersani, Franceschini e Marino si dimostrano i tre candidati meno peggio che si potevano trovare, nessuno ha chiarito definitivamente quale sarà e come sarà il Partito Democratico del futuro, nessuno ha detto esplicitamente cosa cambierà e chi farà fuori per svolgere al meglio il proprio lavoro, nessuno ha chiarito i dubbi sul tipo di opposizione che si farà a Berlusconi tranne di farla sempre con forza ma senza esprimere nettamente i propri principi sul fronte delle riforme, se non in generale.
Detto questo, se i delegati presenti saranno quelli che voteranno il segretario (appare chiaro che le primarie non eleggeranno il segretario perché non si arriverà a portare ad uno dei tre il 50 per cento più uno dei voti utili ad eleggerlo direttamente), quei delegati, anzi quelli che saranno eletti dei presenti a breve nell’assemblea nazionale, se contasse oggi l’applausometro in base agli argomenti portati dai candidati, oggi vincerebbe a mani basse Franceschini. Il segretario uscente ha fatto il miglior discorso per enfasi e autoconvincimento: perché se esiste qualcosa di meglio del comizio elettorale, è senza dubbio la convinzione del candidato di parlare con assoluta credibilità. Ed è stato Dario Franceschini il più credibile dei tre presenti.
La scaletta degli interventi era data dai risultati elettorali nei circoli, quindi Bersani Franceschini e Marino. Se Bersani ha fatto il solito discorso politico e condiviso da tutti i politologi, lo stesso non si può dire per Marino. Il senatore all’inizio sembrava spaventato dalla platea (“è il mio primo congresso”) e quindi c’è voluto un pezzo per sciogliersi, ma dopo si è lasciato andare sui punti cardini della sua mozione ed è riuscito ogni tanto a scaldare i cuori dei delegati. Se poi pensiamo che il suo discorso è stato più applaudito di quello di Bersani, rapportandolo alle percentuali dei voti, si potrebbe tranquillamente dedurre che oggi il segretario sarebbe senza dubbio Franceschini con Marino vice e Bersani relegato a terzo incomodo.
E’ stato un congresso inutile. Inutile non per via delle prossime primarie, l’uno non esclude l’altro, ma perché si poteva fare un vero congresso con dibattiti e confronti tra i candidati e i sostenitori delle tre mozioni. Nulla di tutto questo è stato fatto: il congresso è stato solo la passerella per i candidati di mostrare le mozioni, è diventato solo l’occasione per eleggere l’assemblea nazionale che dovrà dar vita al nuovo statuto ed eleggere il segretario nel caso molto concreto che nessuno arrivi al fatidico 51 per cento. E’ stata quindi un’occasione persa: si poteva fare di più, si doveva fare meglio di oggi.
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