QUESTO ARTICOLO HA PIÙ DI 13 ANNI.    

Recentemente è uscito nelle sale un film italiano, girato dal napoletano Francesco Patierno, “Cose dell’altro mondo”: all’improvviso, in una qualsiasi mattina di una piccola cittadina veneta, spariscono tutti gli immigrati.


[fusion_builder_container hundred_percent=”yes” overflow=”visible”][fusion_builder_row][fusion_builder_column type=”1_1″ background_position=”left top” background_color=”” border_size=”” border_color=”” border_style=”solid” spacing=”yes” background_image=”” background_repeat=”no-repeat” padding=”” margin_top=”0px” margin_bottom=”0px” class=”” id=”” animation_type=”” animation_speed=”0.3″ animation_direction=”left” hide_on_mobile=”no” center_content=”no” min_height=”none”][ad#ad-image]
Il primo personaggio a farne le spese è un Diego Abatantuono trasformato in imprenditore padano che ogni sera, dalla webtv di cui è proprietario, lancia invettive xenofobe più o meno grottesche e che si trova a fare i conti con la sua fabbrica semideserta e la casa ridotta a campo di battaglia, senza l’intervento della colf.

Non ci interessa qui discutere il film, che è una commedia molto leggera e di poche pretese: lo spunto ci viene dal contesto e dalle critiche che hanno preceduto l’uscita del film stesso. Le definizioni: un’opera che dipingeva i veneti come razzisti di basso stampo e di ancora minore cultura, un film offensivo verso questo territorio, e simili. Nessuno si è posto la domanda su dove altro si potesse ambientare in Italia un film che trattasse i temi dell’immigrazione mantenendo un tono leggero. Del resto, è ben nota la sorpresa di qualche anno fa di fronte ai dati della Caritas che mostravano come in area veneta l’integrazione fosse, in realtà, più spinta che in altre aree e la presenza straniera ormai “normalizzata”.

Non voglio certo affermare che viviamo in un paradiso: il tema dell’immigrazione e della criminalità catalizza sicuramente l’attenzione delle comunità venete. Basti pensare al muro di via Anelli, oppure alla vecchia proposta di un Presidente di Circoscrizione del comune di Treviso di dotare le donne del quartiere di spray antiaggressione. Tuttavia, va ricordato che il Veneto è una delle regioni d’Italia a più alta densità di immigrazione (oltre 500.000 su una popolazione di quasi 5 milioni di abitanti); la presenza di bambini stranieri nelle classi di alcune scuole trevigiane e vicentine supera il 50%; sono censiti in Regione 37 centri islamici per una popolazione musulmana attorno alle 150.000 persone. Nonostante l’intensità e la rapidità del fenomeno migratorio e la presenza di una forza politica – la Lega Nord – molto impegnata sul fronte anti-immigrati, gli atti di razzismo sono pressoché inesistenti, l’integrazione sembra funzionare in modo ragionevole, gli stessi immigrati sembrano apprezzare la loro condizione in questa regione. Come mai? Esiste un legame tra il volto feroce dei proclami di Gentilini, di Zaia, di Tosi, ma anche di Zanonato, e una migliore capacità di integrazione degli immigrati?

Prima di rispondere a questa domanda va forse ricordato che in Veneto la presenza straniera è un dato acquisito, sia in funzione strumentale, come componente necessaria al funzionamento delle aziende, sia come riconoscimento reciproco di spazi e modalità di convivenza. Sicuramente è il risultato di un approccio alla questione caratterizzato da un livello di responsabilità elevato da parte delle istituzioni pubbliche: al di là degli slogan e delle “sparate” di stampo razzista, i problemi che l’immigrazione comporta raramente sono caduti nel vuoto istituzionale, in genere sono stati raccolti con pragmatismo e le soluzioni, se possono essere discutibili nel merito, portano però a un bilancio sostanzialmente positivo. In secondo luogo va riconosciuto il ruolo di supplenza svolto dalle istituzioni scolastiche, le quali hanno fronteggiato l’emergenza con una capacità impensata di adattamento, fornendo le basi non solo dell’integrazione degli allievi nelle classi ma anche delle loro famiglie all’interno delle comunità locali. In terzo luogo, un ruolo fondamentale è stato giocato dall’associazionismo, sia religioso che laico, molto più orientato che altrove all’azione assistenziale.
[ad#owb-testo]
Questa predisposizione all’intervento sul territorio ha rappresentato un raccordo indispensabile tra l’azione delle istituzioni locali, l’intervento del mondo scolastico e l’azione di famiglie e imprese. Infine va detto che in Veneto anche l’associazionismo immigrato è molto presente. Un recente lavoro di ricerca svolto sul territorio nazionale ha censito 881 associazioni di stranieri in Italia: di queste, 80 sono collocate in Veneto, di queste dieci sono dislocate nel territorio della provincia di Treviso. L’associazionismo degli immigrati funziona da controllo sociale verso i devianti, da argine alla marginalizzazione e, da ultimo, contribuisce alla definizione di reti sociali multietniche.

Un ulteriore spunto di riflessione sul senso del “malessere” veneto ci viene dall’analisi dei trend recenti del voto leghista. Dal 2006 in poi, una nuova opportunità di crescita della Lega al Nord arriva da una ulteriore ondata di preoccupazioni sociali che affiorano con forza tra l’opinione pubblica delle regioni settentrionali: una miscela in cui si sommano la crisi economica, l’emergenza sicurezza, le proteste contro l’immigrazione, lo scontento verso un governo di centro-sinistra visto come troppo “lassista”. E il consenso alla Lega ritorna a crescere, con una fiammata improvvisa, in larga parte inattesa, che riproietta questo partito ai livelli del 1996. Crisi economica e preoccupazione per l’immigrazione costituiscono i due ingredienti principali di una miscela retorica gestita con imprenditorialità politica dai dirigenti della Lega in questi ultimi 5 anni, anche se oggi patiscono le difficoltà di qualsiasi partito di governo.

Come si tengono assieme demagogia verbale, parole forti, finanche atteggiamenti al limite del razzismo con un sostanziale rispetto delle leggi sull’immigrazione, atteggiamenti pragmatici e un’integrazione giudicata di successo? Come mai – nonostante gli slogan a volte odiosi – i fatti di razzismo sono tra i più bassi d’Italia e la regione viene giudicata come accogliente? Una possibile risposta rinvia alla funzione di “paracarro” delle parole d’ordine truculente. La “tolleranza zero” a New York, prima che azione, fu una sorta di avviso ai naviganti, un avvertimento che per il solo fatto di venire dichiarato produceva effetti positivi. Più o meno allo stesso modo, quando un immigrato arriva a Treviso o a Padova sa di trovarsi di fronte amministrazioni comunali che fanno della sicurezza la loro bandiera e che le infrazioni non saranno tollerate (come altrove). Se “uomo avvisato, mezzo salvato” è una strategia efficace allora vale anche l’altro proverbio: “can che abbaia non morde”. Come a dire che, a volte, un di più di durezza verbale, anche se politicamente non corretta, risulta più funzionale all’integrazione di troppa buona educazione.
[ad#ebuzzing]

[Via]

[/fusion_builder_column][/fusion_builder_row][/fusion_builder_container]