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Governo, bocciati e promossi: ecco i voti ai ministri.

Economia: Giulio Tremonti
Esce di scena come colui che ha tenuto dritta la barra del vascello Italia nella tempesta. Negli anni della traversata berlusconiana i bucanieri non sono mancati. Fino al caso Milanese era candidato alla premiership. Invece, parafrasando Prodi, ha distrutto la credibilità costruita in anni in tre mesi. Prima l’affitto in nero al consigliere accusato di corruzione, poi gli scontri feroci con Berlusconi, infine il boicottaggio della maggioranza durante la crisi. Ha sottovalutato l’importanza del fattore crescita. La sua parabola dimostra che in politica, come nella vita, il carattere fa la differenza.

Esteri: Franco Frattini
L’Italia di Frattini non è più nemmeno una potenza intermedia. Persa la guerra di Libia in favore di Francia e Inghilterra, in Europa il ruolo di Paese fondatore è affossato dall’asse franco-tedesco. Non era inevitabile, nonostante la crisi. Bastava avere iniziativa, non chiudersi nel provincialismo forza-leghista usando l’appoggio del Quirinale. La Farnesina a disposizione di Berlusconi per le carte di Saint Lucia e il primo sciopero delle feluche abbassano il rating di un brillante commis d’ètat diventato alfiere del berlusconismo. Fortuna che la Farnesina funziona anche oltre la diplomazia del cucù.

Interno: Roberto Maroni
I suoi Pacchetti Sicurezza sono stati un tormentone e le polemiche sui tagli al bilancio della polizia lo hanno inseguito fin dai primi giorni. Pessimi i rapporti con i sindacati interni. Se però Bobo Maroni non gode neanche di grandi simpatie negli ambienti della sinistra antagonista per via delle sue scelte sull’immigrazione clandestina e sull’ordine pubblico, in Parlamento l’opposizione l’ha appoggiato spesso non foss’altro perché era una spina nel fianco del Pdl. Può vantare un record di arresti tra mafiosi e latitanti. Lui fa il modesto (ma non lo è): «Il ministero dell’Interno è una Ferrari che bisogna saper e voler guidare».

Giustizia: Nitto Palma
Una meteora che non ha lasciato grandi tracce di sé. In carica per appena tre mesi, il ministro Guardasigilli si è distinto soprattutto per l’attenzione a non urtare nessuno. Da magistrato prestato alla politica, dopo la stagione tempestosa di Angelino Alfano, ha cercato invano di smussare gli angoli con avvocati e giudici. Si ricorderanno due sole decisioni: il blitz con cui, approfittando della crisi finanziaria, ha avviato la revisione della geografia giudiziaria (trionfo del campanilismo in toga) e l’invio di ispettori a Napoli e Bari nel tentativo di fronteggiare l’assedio delle procure al Cavaliere.
Angelino Alfano: Un maestro di dialettica Dc, le sue riforme sono rimaste tutte sulla carta o bocciate dalla Consulta.Tra qualche anno sapremo se funziona il nuovo processo civile che porta il suo nome.

Difesa: Ignazio La Russa
Premesso che le forze armate sono un’eccellenza, è innegabile che abbia cercato di metterci del suo. Da registrare, nonostante i tagli al bilancio, un certa enfasi in celebrazioni: il Quattro Novembre, la mini-naja, pure il treno del Milite Ignoto. Con i soldati nelle strade ha potuto mettere bocca sulla sicurezza. Ha scoperto però quanto fosse dura la guerra in Afghanistan, che dai Balcani non se ne esce, che il Libano è sempre in ebollizione e che la Libia era una grana immensa. Alla fine il suo principale vanto sono stati i pannelli fotovoltaici sistemati sui tetti delle caserme.

Riforme: Umberto Bossi
Al netto delle pernacchie sui ministeri al Nord, di insulti ai giornalisti e del dito medio alzato, la mission di Bossi ministro, cioè la riforma del federalismo, si può dire riuscita solo a metà: la caduta del governo potrebbe bloccare sine die i decreti attuativi, senza dire che i primi effetti della federalismo municipale hanno fatto inalberare molti sindaci del Sud e del Nord, costretti per forza di cose ad aumentare le tasse. Garantendo il suo appoggio alle leggi ad personam del Cavaliere ha perso consensi, riuscendo a stento a tenere a freno la rabbia delle camicie verdi e alimentando la rivolta dei «maroniti» contro il «cerchio magico».

Sviluppo: Paolo Romani
E’ arrivato a tempo quasi scaduto, dopo le dimissioni di Claudio Scajola per via della casa acquistata «a sua insaputa». Sarà ricordato per aver continuato l’opera di difesa delle aziende di famiglia (quelle del premier), per aver subìto (da Tremonti) l’abolizione dell’Istituto per il Commercio Estero, poi rinato (dimagrito) comeAgenzia per la promozione delle imprese. Su mandato di Berlusconi ha tentato il ridimensionamento del ministro dell’Economia. Il risultato è stato disastroso: l’inizio della fine del governo e della maggioranza.