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Jürgen Klopp è entusiasta, forse più che mai, di ciò che il futuro gli riserva. La sua passione per il calcio è indiscutibile, e l’idea di lavorare con giovani talenti lo elettrizza. Tuttavia, c’è una novità che ha sorpreso molti: Klopp ha appena accettato il ruolo di capo del calcio globale per Red Bull. Una frase che sembra stonare un bel po’ rispetto alle altre.

Klopp sale in cattedra

Non mi fraintendete: la dichiarazione ufficiale, rilasciata insieme all’iconica azienda di bevande, trasuda entusiasmo e voglia di fare. Klopp sembra pronto a portare la sua energia contagiosa anche nel mondo delle aziende, magari immaginandolo in sala riunioni, circondato da data analyst e giovani professionisti. E lo stesso Klopp, nella sua posa classica con i pugni alzati, a chiudere una chiamata su Zoom dopo aver presentato una nuova strategia.

In realtà, però, potrebbe trattarsi di un incarico più tranquillo e meno spettacolare di quanto ci si aspetti. Molti hanno subito ipotizzato che questa nuova avventura sia una tappa verso un futuro ritorno in panchina. Magari come allenatore di uno dei club della galassia Red Bull, o addirittura come CT della nazionale tedesca, una posizione che Klopp potrebbe accettare, se e quando si aprirà. Ma se davvero fosse questo il piano finale, il percorso scelto sembrerebbe un po’ tortuoso.

Attualmente la panchina della nazionale è saldamente nelle mani di Julian Nagelsmann, che con ogni probabilità resterà fino al 2026 e forse anche oltre. Allo stesso modo, l’idea che Klopp prenda il posto del suo ex assistente, Pepijn Lijnders, all’RB Salisburgo appare piuttosto improbabile. Certo, potrebbe sempre presentarsi un’opportunità a Lipsia, ma con l’intero panorama calcistico a sua disposizione, perché limitarsi?

Trasformare i dubbiosi in credenti

Klopp sembra stia esplorando un terreno nuovo, come se non fosse ancora del tutto sicuro del suo prossimo passo. A parte il titolo altisonante – Global Head of Soccer – il suo approccio appare piuttosto vago e rassicurante: “Voglio vedere, sentire e capire cosa è utile per il calcio“, ha detto durante la presentazione ufficiale di qualche giorno fa. “Magari anche svilupparlo un po’“. Ma se questa deve essere una call to action di facile richiamo, beh, “trasformare i dubbiosi in credenti” non sembra proprio il motto di una rivoluzione calcistica.

La parte più interessante del suo discorso è quando parla del desiderio di “imparare di nuovo“. Sembra che Klopp voglia prendersi il tempo per godersi il calcio come un’esperienza intellettuale, lontano dalle pressioni delle classifiche e delle interviste post-partita. Questo potrebbe essere il preludio a una nuova versione di sé come allenatore, una sorta di “Klopp 4.0” con qualche novità in saccoccia. Oppure, potrebbe essere l’inizio di una lunga e noiosa carriera da dirigente calcistico, a sfornare idee futuristiche ogni sei mesi – una sorta di “pivot alla Wenger“, come va di moda dire oggi -, chi lo sa.

Il cuore del calcio

Ovviamente, dietro questa decisione c’è più della semplice logica calcistica. La reazione dei tifosi ne è la prova. I sostenitori del Borussia Dortmund sono furiosi all’idea che il loro leggendario ex allenatore possa allearsi con il loro rivale ideologico, specialmente dopo il suo recente e commovente ritorno al Signal Iduna Park per una partita in onore di Lukasz Piszczek e Jakub Blaszczykowski.

Dall’altro lato, i tifosi del Liverpool, che pensavano Klopp volesse prendersi almeno un anno sabbatico, sono confusi dalla rapidità con cui ha cambiato idea. E i tifosi delle squadre rivali? Insomma, loro si stanno godendo lo spettacolo e ridono all’idea che Klopp abbia venduto l’anima al “demone della bevanda energetica” (lo chiamano così sul serio!), vedendolo come un colpo basso o un atto di ipocrisia da parte di chi un tempo era considerato il messia del calcio inglese.

Il modello Red Bull

Non tutte le analisi meritano di essere prese troppo sul serio. Ci sono problemi veri nel calcio, e il modello Red Bull – per quanto appariscente o discutibile possa sembrare – non è tra quelli che fanno davvero la differenza. Gran parte della delusione e del piacere malizioso che circondano Jürgen Klopp derivano da una caricatura di lui, non dalla sua vera essenza. È una sorta di mito, un connubio idealizzato tra virtù sportiva e realtà, che non corrisponde alla persona reale.

Basta guardare cinque minuti di televisione tedesca per farsi un’idea chiara della sua visione del capitalismo. Klopp, tra una pubblicità di birra e una di una bici sportiva, non nasconde il suo legame con il mondo degli affari. Pensare che questo “milionario in tuta” (questa è mia, concedetemela), che ha lavorato nove anni per un gruppo di investitori americani, possa essere un rivoluzionario anti-corporativo è semplicemente una folle fantasia. E, a essere sinceri, Klopp non ha mai cercato o preteso di essere un salvatore o una guida morale. Lo disse chiaramente nella sua prima conferenza stampa a Liverpool: “Se volete dipingermi come Gesù, ma poi il giorno dopo vi lamentate che non cammino sull’acqua, abbiamo un problema.”

Il culto della divinità

Il vero problema sembra essere la tendenza del calcio inglese – fenomeno soprattutto anglosassone, per ora – a elevare gli allenatori a icone morali, come se fossero divinità moderne, spesso senza alcun motivo concreto. Arsène Wenger e il primo Pep Guardiola sono stati trattati in questo modo. Marcelo Bielsa, nonostante le sue smentite, continua a essere visto come una sorta di intellettuale da chi forse non ha mai neanche incontrato un vero filosofo. Persino il neo allenatore del Tottenham Ange Postecoglou, un allenatore moderatamente talentuoso, ha attirato un seguito quasi da culto, grazie alla sua immagine di outsider e alla sua saggezza da frasi motivazionali.

Klopp, dal canto suo, ha passato troppo tempo a credere in un vero dio, e tenersi l’idea della propria divinità non credo sia una sua priorità. Forse ha sottovalutato la devozione che ispira e quanto alcune persone abbiano bisogno che rappresenti qualcosa di (più) grande. Ma non è quel tipo di personaggio. Nessuno lo è, in realtà. Klopp non si è unito alla Red Bull per fare miracoli, ma forse, in modo indiretto, ha contribuito a svegliare il calcio inglese dal loro culto della divinità.

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