I femminicidi di Damaris Muthee Mutua, Rebecca Cheptegei e Agnes Tirop, tutte uccise dai loro partner o allenatori, non sono tragici episodi isolati. Questi delitti rivelano un problema culturale radicato nello sport keniota, dove il rapporto tra le fondiste e gli allenatori maschi si trasforma spesso in dinamiche tossiche di abuso di potere e violenza. Invece di rappresentare uno spazio di emancipazione, lo sport diventa un luogo di oppressione, in cui la forza fisica serve a dominare piuttosto che a competere.
Quando è arrivata la notizia della della morte di Rebecca Cheptegei all’inizio del mese, il mondo dell’atletica è rimasto sconvolto ma non sorpreso. I dettagli sono atroci: l’ex compagno Dickson Ndiema Marangach ha cosparso Cheptegei di benzina e l’ha data alle fiamme davanti alla sua casa nel villaggio di Kinyoro, in Kenya. Con ustioni sull’80% del corpo, è morta pochi giorni dopo in ospedale.
Non è stata una sorpresa perché Agnes Tirop è trovata pugnalata nella sua casa di Iten nel 2021, poche settimane dopo aver stabilito un record mondiale nei 10.000 metri su strada. Mentre Damaris Muthee Mutua, atleta keniota del Bahrein, è stata strangolata a morte nella stessa città solo pochi mesi dopo.
La storia di Rebecca Cheptegei non è unica, abbiamo visto questa situazione ripetersi tante volte. Cresciuti senza nulla, molti di questi atleti hanno lavorato duramente per costruirsi una vita migliore. Ma ironicamente, è proprio il successo che cercavano a diventare la loro condanna.
500 donne uccise in otto anni
È un dramma che va oltre l’atletica e tocca l’intero Paese. Secondo l’indagine demografica del 2022, il 41% delle donne sposate in Kenya ha subito violenza fisica. Africa Data Hub ha rilevato che tra il 2016 e il 2023 sono state uccise 500 donne, con 407 sospetti identificati tra attuali o ex partner.
Un caso emblematico è quello di Cheptegei, il cui ex compagno, Marangach, era sotto inchiesta per il suo omicidio prima di morire anch’esso per le ferite riportate durante un’aggressione. Sembra che la loro lite fosse legata a una disputa su un terreno. Cheptegei aveva denunciato Marangach alla polizia almeno tre volte quell’anno, ma senza alcun esito.
Davanti a queste tragedie, alcuni atleti si sono mobilitati. La maratoneta Mary Ngugi-Cooper, vincitrice della Great North Run, ha fondato il Nala Track Club nel 2022, un club tutto al femminile nella città di Nyahururu, per creare uno spazio sicuro dove le giovani donne possano allenarsi. Inizialmente autofinanziato da Ngugi-Cooper, il club ha ottenuto la sponsorizzazione di Nike e mira a formare più allenatrici in Kenya, cercando di dare alle donne non solo un’opportunità sportiva, ma anche un futuro più sicuro.
Parallelamente, il Tirop’s Angels Trust, fondato da atleti e dalla famiglia di Tirop, si impegna a combattere la violenza contro donne e ragazze, coinvolgendo le comunità nella prevenzione. Tra i membri del consiglio spiccano campioni come Peres Jepchirchir e Amos Kipruto.
Il dito nella piaga
Aliphine Tuliamuk, maratoneta di origini keniote che corre per gli Stati Uniti dal 2016 e ha partecipato a Tokyo 2020, mantiene forti legami con il Kenya. Racconta di storie che ha sentito fin da giovane nei centri di allenamento più importanti del suo Paese, dove centinaia di atleti sognano di diventare professionisti.
Lì, spiega, le giovani atlete, soprattutto quelle che iniziano ad avere successo, diventano bersaglio di uomini – spesso ex atleti falliti – che instaurano relazioni con loro solo per controllare le loro vite e finanze. E quando le donne provano a ribellarsi, le cose degenerano fino all’abuso fisico.
Dopo la tragica morte di Cheptegei, il capo della World Athletics, Sebastian Coe, ha promesso di avviare un percorso su come proteggere gli atleti dagli abusi domestici.
La prevenzione è fondamentale
Tuliamuk ha sottolineato l’importanza di rompere il silenzio su questo tema in Kenya, chiedendo che anche gli uomini si facciano sentire: “La World Athletics ha una responsabilità, e sono contenta che Seb Coe stia portando l’attenzione su questo tema, perché ci sono tanti atleti che soffrono. Ma è ancora tutto troppo vago. Le relazioni sono complesse. Se un atleta non dice chiaramente ‘ho bisogno di aiuto, il mio partner abusa di me‘, è difficile per un’organizzazione come la World Athletics intervenire.”
Tuliamuk insiste sull’importanza della prevenzione, sottolineando la necessità di educare le giovani atlete a riconoscere i segnali di una relazione violenta. “Come facciamo formazione sull’antidoping, dobbiamo educare le ragazze durante i campi di allenamento, prepararle a riconoscere i segnali di pericolo in una relazione. E serve un sistema sicuro per denunciare. Dobbiamo creare luoghi sicuri. Se una donna è a rischio di violenza, deve poter andare da qualche parte immediatamente e allontanarsi da quella persona. Al momento, non hanno nulla di tutto questo. Non sto dicendo che la situazione sia completamente senza speranza, ma dovevamo agire ieri, o anni fa.“
La filosofia dell’istante
I problemi di diritti delle atlete purtroppo non è un male che affligge solo l’Africa. Anche il calcio femminile sta vivendo un momento di grande visibilità, grazie anche ai successi delle nazionali e alle battaglie per la parità di trattamento rispetto al calcio maschile. Ma le agitazioni interne al calcio femminile ci raccontano di un rapporto ancora difficile e tormentato tra i due sessi, perché riflette una generale disparità di potere, che porta gli uomini a prendere le decisioni e le donne a subirle.
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