Curtis Sliwa, fondatore dei Guardian Angels negli anni settanta, si candida ostinatamente senza nessuna speranze a sindaco di New York. E non si vuole ritirare, dando così una mano a Zohran Mamdani.

C’è qualcosa di cinematografico nell’ostinazione di Curtis Sliwa. Alle elezioni municipali del 4 novembre a New York City, il candidato repubblicano non ha alcuna possibilità di vincere, eppure rifiuta di ritirarsi. “No, no, no. Mille volte no. Non posso essere comprato. Non posso essere affittato. Non posso essere noleggiato. Non sono corruttibile”, ripete a chi gli chiede di farsi da parte per non dividere il fronte moderato e dare una chance ad Andrew Cuomo contro Zohran Mamdani, il giovane socialista musulmano di origini indiane e ugandesi dato per favorito. In un’America dove Donald Trump ha piegato ogni repubblicano alla sua volontà, Sliwa rimane una rarità: un animale politico che non risponde a nessuno, irriducibile quanto vanitoso, una creatura tipicamente newyorchese.

E forse proprio questa sua irriducibilità racconta più di quanto sembri. Perché la traiettoria di Curtis Sliwa – nato nel 1954 in una famiglia polacco-italiana di Canarsie, Brooklyn, quartiere operaio devastato dal declino industriale – è anche la traiettoria di New York negli ultimi cinquant’anni. Più della parabola di Mamdani, più di quella di Cuomo, erede malconcio di una dinastia politica in un momento storico dove le élite tradizionali sono guardate con sospetto.

Per capire Sliwa bisogna tornare agli anni settanta, quando New York era sinonimo di criminalità. Il Bronx bruciava, letteralmente. I servizi pubblici erano al minimo, licenziamenti di massa, criminalità galoppante, e un corpo di polizia in cui nessuno aveva più fiducia. Sliwa, energico e carismatico, lavorava come manager notturno di un McDonald’s nel Bronx. Don Chin, un altro manager del fast food, ha raccontato che ogni sera era una battaglia: risse con i clienti, tensione costante, pastori tedeschi incatenati sul tetto del locale come ultima linea di difesa.

Fu in quel contesto che Sliwa creò quello che all’inizio chiamò “Rock Brigade”, dal suo soprannome. Poi divenne i Magnificent 13. L’idea era semplice: pattuglie notturne nella metropolitana, pulizia delle strade, ripristino dell’ordine attraverso l’azione volontaria. I membri – per lo più giovani afroamericani e latini – indossavano giacche di raso rosso e baschi dello stesso colore. Nel 1979, quando il gruppo era cresciuto ben oltre le tredici persone originarie, arrivò il nome definitivo: Guardian Angels. All’uniforme venne aggiunta una una maglietta bianca con stampato un occhio massonico rosso.

Il momento storico era perfetto per un’iniziativa del genere. Le istituzioni non riuscivano a dare risposte, i cittadini si arrangiavano come potevano. Sliwa, maestro nell’autopromozione e abile comunicatore, trasformò i Guardian Angels in fenomeno mediatico. Il messaggio che veicolava aveva una semplicità devastante: la paura alimenta il crimine, solo coraggio e solidarietà possono ridare vita ai quartieri.

Ma negli anni ottanta qualcosa cambiò. Sliwa, che era stato arrestato decine di volte e aveva denunciato la brutalità della polizia, virò verso il campo della “legge e ordine”. Nel 1984 difese Bernhard Goetz, il vigilante bianco che aveva sparato a quattro ragazzi neri in metropolitana. Negli anni novanta sostenne l’ondata repressiva del sindaco Rudy Giuliani. Il linguaggio si fece più aggressivo, le ronde più violente. I Guardian Angels, nati come simbolo di organizzazione dal basso, diventarono parte di un meccanismo punitivo più ampio.

Come nota Willa Glickman in un ritratto pubblicato sulla New York Review of Books, Sliwa si adattò perfettamente alla mutazione radicale della città: la New York fallita e “autogestita” degli anni settanta lasciò spazio alla metropoli neoliberista degli anni novanta, con le sue privatizzazioni, la sicurezza affidata al privato, la rinascita urbana costruita sul controllo sociale.

Finite le ronde, Sliwa si reinventò: conduttore radiofonico, poi candidato sindaco per i repubblicani. Non ha mai vinto un’elezione, ma è rimasto un volto noto: il berretto rosso, l’accento marcato di Brooklyn, le esibizioni teatrali. Nel 2025 si presenta di nuovo, con una proposta che mescola populismo, difesa degli animali, avversione fiscale e ossessione per la sicurezza. Uno stile insieme folcloristico e reazionario: parla il linguaggio delle strade ma difende l’ordine costituito.

Probabilmente sperava che l’insoddisfazione diffusa – New York sta vivendo un’altra crisi – potesse aprirgli una strada, come era successo decenni fa. Ma la città è cambiata. Il modello progressista che ha governato negli ultimi anni sembra esaurito, questo è vero. Ma a quanto pare la soluzione per i newyorchesi non è l’uomo forte: è un giovane socialista musulmano nato in un altro continente, con un programma importante e vicino a chi è stato più colpito dal caro vita.

Mamdani sarà probabilmente aiutato proprio dall’ostinazione di Sliwa, che sottrarrà voti al fronte moderato favorendo così la vittoria del candidato socialista. Un paradosso perfetto per una città che continua a sorprendere.

Nel frattempo, sul piano nazionale, lo shutdown paralizza gli Stati Uniti da trentaquattro giorni – ha preso il via il primo ottobre e si prepara a battere ogni record di durata nella storia statunitense. Il paradosso è stridente: un’amministrazione salita al potere con lo slogan America first sembra concentrata solo sulla politica estera, ignorando i danni interni causati dal blocco dei fondi federali.

La scorsa settimana il programma Snap – l’assistenza alimentare per persone a basso reddito e senza reddito, che distribuisce buoni a oltre quaranta milioni di americani – ha esaurito i fondi. Tecnicamente il denaro ci sarebbe: il dipartimento dell’agricoltura, che gestisce lo Snap, potrebbe attingere a sei miliardi di dollari stanziati per le emergenze. Ma Trump ha ordinato di non toccarli. I leader repubblicani al Congresso hanno rifiutato di votare per riaprire i rubinetti, convinti che alla fine saranno i democratici a prendersi la colpa del blocco.

Un giudice del Rhode Island ha ordinato alla Casa Bianca di continuare a finanziare i buoni durante lo shutdown, ma Trump tergiversa e sembra inevitabile che i sussidi vengano almeno ritardati.

La domanda è: perché i repubblicani si oppongono a un programma che beneficia decine di milioni di statunitensi, molti dei quali loro elettori? Le contee con la percentuale più alta di beneficiari sono rurali, a maggioranza bianca, e votano in massa per Trump. Nella contea di Owsley, in Kentucky, il 37 per cento dei residenti riceve questi aiuti e l’88 per cento ha votato per Trump.

Paul Krugman, nella sua newsletter, individua il motivo profondo: tra i conservatori persiste lo stereotipo che i beneficiari siano pigri o disoccupati volontari. La realtà è diversa. Quattro su dieci sono bambini. Quasi uno su cinque è anziano. Più di uno su dieci è disabile. Tra gli adulti in età lavorativa, molti hanno un impiego ma stipendi troppo bassi per sopravvivere senza aiuti statali: sono i working poors. Ridurre i fondi o imporre nuovi requisiti, spiega Krugman, non spingerà queste persone nel mercato del lavoro: aumenterà solo fame e povertà.

Dagli anni sessanta, quando il programma fu istituito, decine di studi hanno dimostrato che i bambini cresciuti in famiglie sostenute dallo Snap diventano adulti più sani e produttivi. Almeno fino a oggi.

Chiudo con la Grande Mela.

La New York di Sliwa e dei Guardian Angels è stata raccontata infinite volte. Alcuni titoli: I guerrieri della notte di Walter Hill, film sulle gang di fine anni settanta (a noleggio su Amazon Prime). Città in fiamme di Garth Risk Hallberg, romanzo ambientato durante il blackout del 1977. La prima stagione di Hip-hop evolution, sulla nascita del genere (Netflix). The Seven Five, documentario sulla corruzione della polizia negli anni ottanta (YouTube, in inglese). When They See Us di Ava DuVernay, miniserie sui “Central Park Five”, i cinque ragazzi condannati senza prove nel 1989 per l’omicidio di una jogger (Netflix). Giuliani Time, documentario sulla svolta securitaria di Rudy Giuliani (a noleggio su Amazon Prime).