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Investire in uno stadio moderno e di proprietà è sempre un vantaggio, non farlo ti lascia indietro: con gli Europei italiani del 2032 alle porte, la UEFA ha annunciato che San Siro non ospiterà la finale di Champions 2027.


Vi sembrerà assurdo, ma alcuni tifosi del Tottenham non sono proprio entusiasti di avere uno degli stadi più belli al mondo. E no, non è uno scherzo: nel Nord di Londra c’è chi proprio non sopporta il New White Hart Lane. Perché? Beh, quando gli chiedi, la risposta è sempre la stessa: i prezzi dei biglietti sono troppo alti. E poi, per quanto gli Spurs siano ricchi, sembra che abbiano un’allergia cronica ai trofei. In parte, questi tifosi hanno ragione, ma basta dare un’occhiata ai bilanci per capire che il nuovo stadio da 62.000 posti, inaugurato nel 2019, ha reso il Tottenham la società più ricca di Londra. Certo, la squadra di Postecoglou non è ancora al livello del Manchester City o di altri top club europei, ma grazie all’investimento nello stadio, ora ha i margini per colmare il divario. Magari non subito, ma ci arriveranno.

San Siro non avrà la finale Champions

Il punto è proprio questo: investire in uno stadio moderno, polifunzionale e di proprietà non è mai una cattiva idea. Anzi, genera sempre qualcosa. Non farlo, invece, ti lascia inevitabilmente indietro. Lo stiamo vedendo bene anche in Italia, dove la UEFA ha recentemente annunciato che San Siro, non ospiterà la finale di Champions League del 2027. E pensare che l’evento era già stato assegnato. Il problema? Le istituzioni locali non possono garantire che lo stadio non sarà coinvolto nei lavori di ristrutturazione durante la finale.

La situazione è frutto della continua battaglia tra il Comune di Milano e i due club della città, ma gli attori coinvolti sono molti di più. Il risultato è che Milano, che si era aggiudicata un evento di rilievo, è ora costretta a rinunciare, con una perdita economica e di credibilità internazionale. E questo è particolarmente grave se pensiamo che, tra pochi anni, l’Italia dovrà organizzare gli Europei del 2032. Se persino Milano si trova in difficoltà, cosa succederà con gli stadi di altre città?

Poche eccezioni isolate

La risposta è già sotto i nostri occhi. Pochi giorni fa, il presidente della Fiorentina, Rocco Commisso, ha dichiarato che, se ci saranno le giuste condizioni, il club potrebbe essere interessato a completare il progetto dello stadio Artemio Franchi, attualmente in ristrutturazione. Ma anche qui, i lavori procedono a rilento e il pubblico non può neppure occupare tutte le gradinate. Storie simili si ripetono a Napoli, dove De Laurentiis vorrebbe rilevare lo stadio Maradona, ma il Comune dice di non aver mai ricevuto un’offerta concreta. A Roma, invece, siamo al quarto progetto di nuovo stadio negli ultimi quarant’anni: prima ci ha provato Dino Viola, poi Franco Sensi, poi James Pallotta, e ora il gruppo Friedkin vuole costruirlo a Pietralata. Nel frattempo, la città ha visto susseguirsi inchieste giudiziarie, battaglie politiche e istituzionali, e nulla è cambiato.

Quando si parla del calcio italiano, si tira spesso in ballo il “problema di sistema“, e in questo caso è proprio così. Le difficoltà a Milano, Firenze, Napoli e Roma non sono un’eccezione, ma la regola, frutto di una burocrazia lenta e di giochi politici che frenano qualsiasi progetto legato agli stadi. Gli esempi positivi, come lo Juventus Stadium di Torino, il Gewiss Stadium di Bergamo, il Bluenergy Stadium di Udine o il Mapei Stadium di Reggio Emilia sono isolati e frutto di circostanze fortunate, non di un sistema funzionante.

La legge sugli stadi non funziona

Guardando al futuro, una possibile soluzione sarebbe invertire l’approccio alla questione degli stadi. Finora, ogni club ha dovuto trovare da solo un modo per forzare il sistema, ma sarebbe più sensato affrontare il problema a livello istituzionale. Nel 2021 è stata approvata una legge sugli stadi che avrebbe dovuto accelerare l’iter per la costruzione di nuove infrastrutture, ma qualche mese fa il ministro dello Sport, Andrea Abodi, ha ammesso che non ha portato alla realizzazione di nessun nuovo stadio. Insomma, la sensazione che tutto rimanga bloccato è più che confermata.

Con gli Europei 2032 all’orizzonte e la credibilità del calcio italiano in gioco, è tempo di cambiare. Bisogna snellire le procedure, permettendo ai club di investire e di raccogliere i frutti di questi investimenti. Non solo per loro, ma per tutto il sistema. E questo riguarda tutti noi.