Mentre Pechino e Mosca consolidano la loro presenza in America Latina, Washington fatica a ricostruire una rete di alleanze credibile e multilaterale nel proprio emisfero.

Nel contesto della guerra in Ucraina, la cooperazione tecnologica tra Cina e Russia ha assunto una rilevanza strategica crescente. Secondo un rapporto del Center for Defense Reforms di Kyiv, analizzato dal Wall Street Journal, aziende cinesi hanno fornito componenti critici — motori, sistemi di navigazione, batterie al litio — a produttori russi di droni nonostante le sanzioni imposte dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti. Il flusso di materiali, che include oltre 3,3 milioni di motori e 685.000 parti meccaniche, ha alimentato la produzione di FPV e Shahed-type drones, impiegati in attacchi su larga scala contro infrastrutture civili ucraine.

Questa triangolazione industriale, che aggira formalmente la fornitura di “armi letali”, rivela una forma di assistenza militare indiretta, ma strutturale. Come evidenzia Politico Europe, Pechino ha adottato una strategia di “dual-use diplomacy”, fornendo tecnologie a uso civile che vengono riconvertite per scopi bellici. Bloomberg conferma che il 92% dei componenti stranieri rinvenuti nei droni russi proviene dalla Cina, mentre il Council on Foreign Relations sottolinea come questa cooperazione si inserisca in una più ampia convergenza strategica tra Mosca e Pechino, fondata su interessi comuni e una visione revisionista dell’ordine internazionale.

Nel frattempo, l’amministrazione Trump ha reagito con una retorica muscolare. Durante il vertice bilaterale con Xi Jinping a Busan, il presidente ha evocato la presenza di sottomarini nucleari statunitensi “al largo delle coste cinesi” e ha minacciato sanzioni secondarie contro le aziende coinvolte. Tuttavia, la risposta americana è stata ambivalente: da un lato, si è cercato di stabilizzare le relazioni commerciali con la Cina; dall’altro, si è intensificata la pressione sul fronte tecnologico e militare.

Questa dinamica ha ripercussioni anche sull’America Latina: Cina e Russia hanno ampliato la loro impronta militare nella regione, attraverso accordi di addestramento, forniture dual-use e cooperazione nel settore della sicurezza. In Venezuela, Cuba e Nicaragua, Mosca ha consolidato legami con le forze armate locali, mentre Pechino ha investito in infrastrutture strategiche e sistemi di sorveglianza. L’Atlantic Council evidenzia che, pur operando con modalità differenti, entrambe le potenze mirano a erodere l’influenza statunitense e a promuovere modelli di governance alternativi.

In questo quadro, la posizione degli Stati Uniti appare frammentata. La strategia trumpiana, basata su sanzioni e deterrenza, ha rafforzato la pressione su attori ostili, ma ha anche indebolito la capacità di costruire coalizioni regionali. In America Latina, l’ascesa di governi progressisti e la crescente dipendenza economica dalla Cina hanno ridotto la disponibilità a seguire la linea di Washington. Come nota Diana Roy su CFR, la ritirata diplomatica americana ha lasciato spazio a una penetrazione cinese più sofisticata, fondata su investimenti, prestiti e soft power tecnologico.

Per concludere, la triangolazione Cina-Russia-USA non si gioca solo sul suolo ucraino, ma si riflette in una riorganizzazione delle sfere di influenza globali. L’America Latina, pur non essendo teatro diretto del conflitto, ne subisce gli effetti indiretti: nella ridefinizione delle alleanze, nella militarizzazione delle relazioni economiche e nella crescente ambiguità tra sicurezza e sviluppo. La sfida per gli Stati Uniti non è solo contenere l’espansione tecnologica cinese, ma ricostruire una presenza credibile e multilaterale nel proprio emisfero.